venerdì 23 gennaio 2009

minima / Tre domande sulla bolla contemporanea
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Perché l’acqua deve essere privatizzata e i musei contemporanei vanno finanziati con il pubblico denaro? Perché, se la ricerca estetica attuale è all’insegna del soggettivismo sfrenato, del caso addirittura, del bluff teorizzato, si arriva a escogitare un meccanismo traballante che giustifichi gli acquisti di Stato di simili frutti del capriccio, abborracciando un metro di valutazione? È chiaro a tutti che The Road di Cormac McCarthy ha una rilevanza artistica universale (e non sottrae un centesimo agli ospedali), ma un peto della fantasia scarsa di un installatore perché pretende i soldi miei? Perché, soprattutto, invece di impinguare le social cards dei vecchi che non ce la fanno a campare – il bilancio è una coperta poco elastica – , i soldi della comunità andrebbero spesi per oggetti poco estetici i cui apologeti non fanno altro negli ultimi anni che magnificarli come investimenti strepitosi? Esclusivamente questo ripetono, infatti, che oggi costano tantissimo e che immuni dalla crisi domani renderanno ancor di più, lasciando definitivamente da parte l’ormai ipocrita argomento della cultura, della sperimentazione linguistica, della diffusione dello Zeitgeist anche tra i semplici, tutta roba di ottocentesca memoria. Somigliano spaventosamente agli entusiasmi bancari delle bolle immobiliari. Cinismo per cinismo: se sono meglio dei Bot, che se la spassino i privati con tale spazzatura di lusso. (Pro memoria per un ministro bonario, mentre si parla sempre più di committenza pubblica, assessori cioè che fanno i mecenate con i soldi degli altri, funzionari tra le scartoffie che si sentono madama Guggenheim: in tempi di crisi suona assai irritante).