sabato 14 marzo 2009

minima / Avarizia virtuosa

Poco fa alla radio, canale della cultura di Stato, ci si lamentava con toni gravi e preoccupati della crisi che ha colpito i «consumi culturali». Ahinoi, i cittadini italiani non si lasciano più educare secondo i gusti di élites autodidatte né abbindolare dalle false eleganze. È finita l’èra delle «vacanze intelligenti» che Alberto Sordi fustigò sul nascere? Si accorciano le file per gli eventi inventati dalle pro-loco? I supermarket dei libri non sono più affollati come a Natale di due anni or sono?Eppure, pare che tra i disoccupati del 1929 si preferisse spendere un dollaro per il cinema piuttosto che per uno hot dog, dal momento che non si vive di solo pane, anche di sogni c’è bisogno in tempo di fame. Evidentemente i prodotti che oggi ci vendono risultano poco immaginifici.
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I partecipanti alla trasmissione si ripetevano «bisogni» e «consumi» culturali, era chiaro che si trattava di fenomeni indotti e loro dovevano essere gli induttori. In gioventù vedemmo delle rivolte anche violente contro il ‘consumismo’ che si affermava in Occidente e i rivoltosi, alla scuola di Adorno e Horkheimer – che adesso solo il papa cita nelle sue encicliche – consideravano addirittura sacrilego l’accostamento di questo uso delle merci alle cose dello spirito. Ma forse non si resero conto che avevano trasformato anche la loro ribellione in un bene di consumo. Completata perciò la dissacrazione, persa la misura del sacrilegio, adesso non si prova neppure un brivido estetico nel mescolare le faccende dei libri e dei concerti a termini come Pin, management, investimenti, marketing, perfino sindacati. L’hard della organizzazione schiaccia e massacra il soft di creature assai delicate come le opere dell’ingegno.
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Poco fa, i ragionieri della radio intensificavano il pathos, disastro era la parola più spesa. E non si capiva bene se si riferisse alle conseguenze prodotte nei portafogli degli organizzatori dei festival e dei curatori di mostre oppure se indicasse le rovine incombenti sull’italica cultura. Davvero si pensa che gli storici del XXII secolo registreranno la decadenza delle lettere e delle arti iniziata nell’anno 2009 a causa di qualche sovvenzione pubblica mancata, del fallimento di cooperative, della riduzione di visite guidate? O del potere perduto dei persuasori occulti nelle terze pagine?
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Ci informava la chiacchierata via etere – ed era l’unica notizia degna di rilievo – come già prima della crisi i nostri concittadini fossero tra i più avari di tutta Europa per quel che riguarda la spesa nei beni culturali. Benedetta spilorceria, felice paese. Chi ha tutti i giorni davanti agli occhi, e gratis, le piazze incantate e le statue, le chiese, i palazzi, i paesaggi che la nostra storia ci ha donato, potrà saggiamente risparmiare i suoi soldi, mentre gli scandinavi, per esempio, nel vuoto spinto delle loro città moderniste, metteranno mano agli euri per vedere qualcosa, proprio come da quelle parti si sperpera molto denaro in boccali di birra che facciano dimenticare la desolazione.