martedì 16 giugno 2009

minima / L’invasione dei Verdurin
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«La pubblica opinione, quest’eterna portinaia!»
KARL KRAUS

Povero Walter Benjamin, era convinto che soltanto il fascismo perseguisse la estetizzazione della politica – mentre il comunismo avrebbe politicizzato l’arte –, adesso quel che resta della sinistra italiana sembra confutare la sua teoria Nell’epoca della riproducibilità digitale si sono confuse le carte: la politica come 'scienza pratica’, quel «movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti», come voleva l’agitatore di Treviri, si è trasformata in un cicalio salottiero (senza salotti, piuttosto saloni da barbiere) dove stabilire ciò che è più o meno elegante, in capricciosi tornei che già nel Settecento sarebbero apparsi sommamente futili. E in mancanza di grandi dame, uno stuolo di vezzosi, un Terzo stato di modaioli, discettano sulla finezza dei leaders, eccitati dalle gazzette progressiste che indossano la maschera della «morale» per tagliare e cucire sulla beltà interiore del politico. Esteti e decadenti di un teatrino grottesco dove un giornalista televisivo che gesticola come un cafone d’altri tempi affronta il problema dello «stile di questa maggioranza», un questurino che offende la lingua italiana ha l’impudenza di salire continuamente in cattedra per indicarci quando nella maggioranza viene a mancare l’esprit de finesse, dei comici grossolani dal gergo trucidissimo calcolano il tasso di signorilità dei governanti, un gruppo editoriale che ricopre il ruolo corruttore che fu della «Neue Freie Presse» (e ci vorrebbe la ferocia krausiana per trattare di questa «stampa mezzana») appoggia in nome delle buone maniere ricattatori con migliaia di scatti rubati, gli intellettuali cinici adusi a sopportare le peggiori esibizioni di arroganza dei tiranni a loro graditi – dal golpista venezuelano che mastica coca in pubblico agli sfacciati raìs levantini – si mettono a sindacare come tante principessine su gaffes e gaffeurs nostrani; c’è perfino un rapper che, stanco di riprodurre il turpiloquio da ghetto, si finge Irene Brin per esprimere la sua sensibilità offesa dal cattivo gusto del presidente. È in corso un’invasione dei Verdurin. Proprio come quei personaggi di Proust, ostentano crudeltà, gelosia, invidia sociale. Ma peggiori, se possibile, dei fedeli della «piccola tribù» parigina, sono tanto burini da prendere per oro tutto quello che viene dall’estero, a cominciare dagli articoli giornalistici di colore, i consueti «mafia & spaghetti» in tutte le varie declinazioni, che dovrebbero umiliare chi li scrive. Lo snobismo di massa, con il suo carico di ingenuità, non si rende conto che non c’è nulla di più volgare che ripetere i ritornelli sulla volgarità politica, e che sproloquiare di cultura è già una ferita mortale per la cultura (Adorno).
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Quanto alla
politicizzazione dell’arte, per carità, non se ne parla neppure. Art pour l’art è ormai un tabù su cui tacere rigorosamente: tutti proni di fronte a ogni autentica trivialità purché si ammanti di quell’antico nome.