venerdì 27 novembre 2009

minima / Kulturmarkt e paure

Scherzammo, qualche settimana fa, sulle grandi truffe del «global warming» e del «contemporaneo» (The Great Swindle, 25 ottobre 2009). La recente scoperta della clamorosa manipolazione dei dati, per dimostrare il surriscaldamento della Terra, all’interno dell’University of East Anglia’s Climatic Research Unit, un santuario scientifico che detta legge nel mondo; l’affondamento odierno del Dubai, patria dell’architettura vacua e del postmoderno maomettano, sembrerebbero dar ragione all’«Almanacco» e al buonsenso. Ma c’è poco da gioire. Il grande pubblico non vuole accorgersi di queste cose e, a modo suo, ha ragione. Le crisi attuale del consumo, infatti, gli sbandamenti in Borsa, non sono risposte, purtroppo, alle domande decisive: perché si crede ostinatamente in questa Apocalisse senza Rivelazione? Perché tanto parlare di arte a proposito di merce?

«Molto resta ancora da dire circa il rifiuto del godimento visivo della sensibilità moderna», scrive Jean Clair. Che volete che se ne possa ricavare dai grafici del Kulturmarkt? Meglio Jünger: «Viviamo in tempi indegni dell’opera d’arte; soffriamo senza scusanti. Non resterà di noi che il rumore della sheol. Anche oggi la costrizione trova consensi. Ma insieme cresce la tristezza, che si dilata fino ai negri, e la mia malinconia ne partecipa».
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