lunedì 21 giugno 2010

Sacra anatomia

~ PICCOLO CONFRONTO TRA PIETISMO E CATTOLICESIMO
SULLE QUESTIONI DEL CUORE ~

Quando il luteranesimo, dopo neppure due secoli di vita, virava già verso la piattezza spirituale che avrebbe poi suscitato l’indignazione di Kierkegaard, nacque per soccorrerlo il pietismo, un movimento formato da piccole comunità vagamente salottiere, incentrate sul culto del cuore, della interiorità, della introspezione. Religiosità dal sentimentalismo esoterico che avrebbe avuto un ruolo importante nella genesi della Romantik. Ai pre-romantici che sprofondano in una intimità ineffabile, ai protestanti che non hanno il dono delle apparizioni, delle vive immagini offerte allo sguardo dei semplici, agli iconoclasti che a furia di spiritualità ossessiva arrivano a cancellare l’aspetto fisico, il corpo, Roma sembra rispondere con il culto del cuore divino.

Antico era questo interesse. Già i Titani volevano divorare il cuore di Dioniso, impediti all’ultimo momento da Zeus che li fulminò, permettendo la rinascita del dio proprio dal suo cuore ancora intatto e palpitante. Boccaccio fa mangiare a una donna ignara il cuore del suo amante cucinatole dal marito geloso, lì era simbolo della forza, della vita. Dante nella Vita nova descrive una visione: una figura maschile, «ne l’una della mani mi parea che questi tenesse una cosa la quale ardesse tutta, e pareami che mi dicesse queste parole: «Vide cor tuum» [Guarda il tuo cuore]. E […] pareami che disvegliasse questa che dormia; e tanto si sforzava per suo ingegno, che le fece mangiare questa cosa che in mano le ardea…». I cuori del mondo latino sembrano prendere una forma precisa, non sono inconscio tenebroso, piuttosto simboli fiammeggianti, oriflamma del sommo sovrano, immagine scaturita da innumerevoli visioni mistiche. Il cuore, metafora pietista dell’interiorità, nella concezione romana viene al massimo esteriorizzato, esposto, venerato insieme alla sacra anatomia (dissezione dei corpi per trarne delle reliquie – in primis le sante piaghe, il costato, ecc. –, in generale il bisogno vitale di segni corporali che il libertino confonde con il feticismo); il Salvatore strappa dal petto il suo cuore e lo offre alla devozione dei fedeli.

I giansenisti gridavano allo scandalo, all’idolatria, papa Pio VI tirò dritto e istituì ufficialmente il culto del sacro cuore, la adorazione del cuore carneo, del cuore amante. A Roma, esso non significava i segreti dell’anima bensì l’organo fisico che pompa il sangue nel nostro corpo. Giovanni Maria Lancisi, medico al Santo Spirito e archiatra pontificio, oltre a curare esemplari tavole anatomiche e a dire parole decisive sulla malaria, lasciò un trattato innovativo, De motu cordis et aneurysmatibus, uscito postumo nel 1728, con il quale contribuì allo sviluppo della fisiopatologia cardiocircolatoria mettendo in luce l’origine degli infarti e degli aneurismi. Una trentina di anni più tardi, Pompeo Batoni, il rivale di Mengs, il ritrattista romano dei protagonisti del Grand Tour, diede forma pittorica a questo muscolo del Dio fatto uomo dipingendo su rame la celeberrima immagine conservata nella chiesa del Gesù e riprodotta in milioni di esemplari: Cristo è con il cuore in mano, con il cuore coronato di spine, una metonimia, una parte per il tutto, ma quella parte non concede nulla alle sfumate introversioni romantiche: sanguinante, realistico, anatomico e fiammeggiante. Così gli Herz-Jesu-Feuer, ovvero i fuochi del Sacro Cuore di Gesù, istituiti in Tirolo durante la resistenza delle popolazioni montanare e cattolicissime alle truppe napoleoniche, non hanno nulla a che spartire con le meditazioni pietistiche: è ricordo di battaglia accesa, con la figura araldica del cuore, segno di fedeltà al visibile, nella lotta ai piccoli segreti della teosofia böhemiana, alle massonerie del sentimento, alle gnosi comunque mascherate. Battaglia che si rinnova nelle notti ardenti di giugno, mese dedicato appunto al cuore divino.

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