domenica 10 gennaio 2010

minima / La denuncia di un umanista

Per chi si fosse perso l’intervista sul «Corriere della Sera» di oggi a Ezio Raimondi, rubiamo due citazioni preziose delle sue risposte. Il titolo è forte: «La modernità uccide la letteratura», ma il tono non è minaccioso, livido, come molti discorsi dei contemporanei. Con la probità dei figli dell’Appennino emiliano, Raimondi dice: «La letteratura è in una condizione difficile, ha subìto una sorta di lesione che si traduce quasi in una disfida contro la vita contemporanea, un’epoca che non favorisce la meditazione. Per questo, oggi più che mai è chiamata a trovare un senso in un mondo che vuole un accumulo di esperienze istantanee, mentre la letteratura utilizza la memoria e diventa forte quando l’uomo torna a chiedersi: chi sono? L’invocazione della letteratura è una sola: facci essere umani, per citare Wittgenstein». Un mondo in preda all’impressionismo «non favorisce la meditazione». Non solo in campo letterario.

«Carlos Fuentes ha detto che alla letteratura spetta di parlare di ciò che è invisibile dentro il visibile. La parola della letteratura è a suo modo una rivelazione di noi stessi a noi stessi, una sorta di epifania, una prova a cui si è chiamati: creare un universo che prima non esisteva e in cui le risposte sono interrogativi. Ed è da lì, dagli interrogativi, che comincia la dimensione religiosa». All’arte, si potrebbe aggiungere, spetta invece di parlare proprio del visibile. Una epifania del visibile? Quante domande attuali discendono dalle parole di un umanista demodé.
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