venerdì 16 luglio 2010

I contraffattori

~ LA PARODIA NELLO SPAZIO DEL LAGER
E UNA VECCHIA DIAGNOSI DI JOSEPH ROTH ~

Immaginate lo scandalo delle coscienze democratiche e l’indignazione degli editorialisti sui giornali se dei ragazzotti in gita scolastica ad Auschwitz se ne tornassero con un video, girato magari con il telefonino cellulare, nel quale suonano e ballano il rock sul terreno ricoperto dal massimo tabù, ovvero nel luogo ‘sacro e proibito’, nello spazio simbolo del nichilismo occidentale. Ci si scatenerebbe nel gridare alla disumanizzazione crescente, al fallimento del sistema scolastico, al nazismo rinascente, alla demenza dell’attuale gioventù, al sorriso ebete di delinquenti lombrosiani, forse anche alle colpe del totem televisivo. Ed ecco che per una strana ‘legge’, di cui si è detto negli ultimi due articoletti su questo «Almanacco», una autoproclamatasi ‘artista’ australiana ha fatto un video nel quale si suona e si balla il rock degli zombie nel Lager, naturalmente con un certo successo mondiale – sulla pelle degli scannati si acquista facile notorietà – e un certo rispetto: è arte, ripetono come oche le gazzette. Tutta una questione di intenzionalità? C’est la faute à Brentano e à Husserl? O la sola tonalità possibile all’estetica contemporanea è quella della parodia?

Già negli anni Venti, e in un romanzo che si rivolgeva a un pubblico popolare, Joseph Roth scriveva: «’Questa vecchia cultura ha ormai mille buchi. Voi li rattoppate con i prestiti dall’Asia, dall’Africa, dall’America. I buchi si fanno sempre più grossi. Ma voi mantenete l’uniforme europea, lo smoking e la carnagione bianca e abitate in moschee e in templi indiani. […]’. ‘Facciamo qualche concessione, nient’altro’, disse il direttore d’orchestra. ‘Il mondo è diventato più piccolo, l’Asia, l’Africa, l’America si sono avvicinate a noi. In tutti i tempi sono state accettate usanze straniere e le si sono inserite nella cultura’. ‘Ma dov’è la cultura in cui volete inserirle? Non avete altro che contraffazioni di un’antica cultura. Sono forse gli studenti coi berretti colorati a sghimbescio a rappresentare l’antica cultura tedesca? È la vostra stazione, il cui miracolo più grande è che i treni vi partano e vi arrivino? […] Sta, questa antica cultura, nei vostri cari tetti a cuspide in cui abitano operai, non artigiani, orefici, orologiai, maestri cantori, ma proletari che vivono nelle miniere e stanno a proprio agio sui montacarichi elettrici, non in mezzo agli intellegibili caratteri gotici? Questa è una mascherata, non la realtà’» (Fuga senza fine, Adelphi, p. 97). In quel mondo delle «contraffazioni di un’antica cultura», in questo mondo senza neppure più l’uniforme dell’abito da sera, anche l’arte è una mascherata, parodia della parodia.

P.S. Il dettaglio che l’autrice del video e i suoi familiari che lo interpretano siano ebrei dimostra soltanto che anche i parenti delle vittime non riescono a sottrarsi all’unico linguaggio dominante in campo estetico, al punto da prendere in prestito per ricordare i morti perfino le sue forme più scurrili.