martedì 10 agosto 2010

Perseguitati dall'umor tetro

~ UNA EPIDEMIA DI PARANOIA? UNA GNOSI DI MASSA? ~

«Al giorno d’oggi, l’esperienza ferita
è il rifugio dell’ideologia…
»
Adorno

Vanità di molta indignazione: i più ingenui credono di attraversare l’epoca peggiore della storia e già a distanza di pochi anni spesso quelle crudeltà appaiono risibili, circonfuse pure da una certa nostalgia. Non perché quel che è venuto dopo sia per forza ancora più nefasto – il progressismo in chiave negativa è altrettanto stolto – semplicemente perché la historia è meno lineare di quanto si creda, con qualche smottamento qua e là. Prendiamo il caso dei progressisti-retrogradi del clima, che stabiliscono innumerevoli misurazioni per dimostrare che qualcosa è peggiorato negli ultimi duecento anni – da quando cioè le scienze esatte hanno messo a punto tutti i loro strumenti di rilevazione – malgrado non si sappia nulla di quel che accadeva immediatamente prima, ovvero senza potere confrontare quegli ultimi duecento anni con le epoche precedenti, talché ci si rivolge ai quadri o ai poemi per capire se nel Cinquecento facesse freddo o caldo. Non vale! Non si mettono accanto i giudizi sintetici dell’arte e i numeretti dei calcolatori. (Così come dovrebbe far sorgere il sospetto tanta analitica sui dettagli climatici e sulle statistiche minuziose – documentazione che proverebbe un aumento termico e conseguenti disastri negli ultimi vent’anni o giù di lì – quando soltanto attraverso l’informatica diffusa e la globalizzazione delle informazioni siamo in possesso dei dati su quante piogge si sono avute nell’altopiano siberiano o nel bel mezzo del Pacifico). Sono dunque escluse le controtendenze, tutto scivola verso il baratro o vola verso la radiosa aurora.

Altre genti devono aver provato come noi lo svilimento della religione, il relativismo cinico, la eclisse dell’arte (si pensi soltanto al papa fatto prigioniero dai napoleonici), ma una cosa è sicura: la forma delle lamentazioni è vieppiù degenerata negli ultimi secoli. Oggi, alla corruzione linguistica dei giornali scritti dai gazzettieri si è aggiunta quella, ancora più devastante, dei lettori che inondano le prose dei divulgatori con fiumi di commenti online; pallide e dignitose anticipazioni erano le lettere al direttore d’antan. Non è solo questione di sintassi, declinano all’unisono la lingua e i concetti. Oltreché ripetitivi, i messaggi appaiono più drammatici di quelli dei più neri momenti del racconto storico di questo paese, una eterna Caporetto, un eterno 1944, per cui viene da pensare a una specie di epidemia di paranoia. La lettura dei giornali non è più la versione hegeliana della preghiera mattutina ma la bestemmia biliosa contro il creato, il visibile, il rivelato.

In quale jardin des supplices saranno mai immersi questi scriventi? Ci si riferisce ossessivamente a un fascismo metastorico, che sopravviverebbe per generazioni, che perderebbe anche i suoi innegabili tratti di grandezza tragica per assumere il carattere caricaturale del carognesco, del Male assoluto in versione cinematografica ultrapopolare. Si attende solo la catastrofe. E ogni sguardo verso il potere non è quello pur sospettosissimo dei filosofi ‘francofortesi’, che possedevano una forma ricercata in grado di raggelare ogni coinvolgimento emotivo, bensì una scossa panica che non riesce a essere mai critica e finisce per feticizzare quel potere da cui si resta soggiogati. Un tale pensiero stereotipato si articola in termini di bianco e nero, bianco il proprio e nero quello di tutti gli altri (i più perversi possono invertire magari i colori). Ma ciò che maggiormente impressiona in queste reazioni del pubblico, aizzate da abili giornalisti, è la coprolalia che accompagna costantemente i giudizi, l’aggressività anti-politica in cerca di espressioni puerili, la volontà di lordare l’avversario, più o meno quel che si otteneva con la somministrazione forzata dell’olio di ricino.

La comicità che dovrebbe produrre risate liberatorie lega ancor di più ai dettagli delle onnipresenti caricature – anche qui, come in tutta la cultura contemporanea, domina la parodia –, ripropone l’asservimento alle frasi fatte, senza alcun discernimento; non ambisce a incattivire gli animi, si limita a istupidirli, gioca sulla ripetizione, sul ghigno sempre uguale.

Si sentono perseguitati a vita, mentre i cristiani dei primi secoli, appena terminato un ciclo di sofferenze, che comprendevano decapitazioni e crocefissioni, torture e clandestinità nei sotterranei delle catacombe, tornavano a collaborare con il potere imperiale, mostravano un atteggiamento costruttivo, riconoscevano l’autorità, ne rispettavano il senso. Viene allora da pensare che tale cedimento patologico, il gridare scomposto che pervade il web tradisca una gnosi di fondo che si mescola sottilmente con le varie credenze spiritualiste. Il mondo è frutto di un demiurgo malvagio, perciò risulta brutto e sozzo. Le tecniche che un tempo si dicevano ‘alternative’ servono a sottrarsi al destino di corruzione, il prefisso bio si infila in ogni dove per combattere il mondo necrotizzato del dio cattivo. Che indichino indifferentemente nel piombo presente nell’aria o nell’attuale presidente del consiglio la causa di tutti i mali, dall’Alzheimer all’impotenza sessuale, è la prova che stanno cercando una eziologia metafisica. La teoria del complotto, naturalmente, li aiuta nella ricerca. Basterebbe ricongiungere la giustizia al creatore per vanificare lo scenario miserabile. La bellezza della luce, che consacra tutte le cose del mondo, comprese le più infime, conforterebbe a ogni risveglio, ma è da questi tristi figuri respinta in nome di un fioco bagliore interiore, con il quale disprezzare un universo che vedono sempre tenebroso.

Invece di restare sorpresi e ammirati dallo spettacolo insolito di un caldo avvolgente o di una bella nevicata, di un giorno ventoso d’estate o di una temperatura mite d’inverno, li si considera dei segni apocalittici. Soltanto gli strateghi delle coscienze che credono di poter speculare sul malessere dei più si illudono che questo doloroso sguardo sul mondo abbia un carattere politico. In momenti ben più gravi, il capo dei comunisti italiani, chiamava «fratelli fascisti» quelli che aveva appena risparmiato, tendendo loro la mano. Ma i nuovi isterici non vogliono stringere la mano a nessuno, temono di macchiarsi con il peccato, di prendere il contagio del male teogonico. Sanno soltanto loro i segreti di tutte le mafie, spiegano la teoria della corruzione come se i vaneggiamenti ereticali non fossero cosa nota da secoli. Scriveva Gadda, per stigmatizzare quel «tono asseverativo che non ammette replica»: «nell’inferno dantesco si incontrano uomini che credevamo in paradiso: e nel purgatorio, avviati al paradiso, uomini che credevamo sicuramente all’inferno». Ma loro incarnano il supremo Giudice della fine del mondo, loro sanno chi dannare per l’eternità.

Come antidoto a una simile patologia lamentosa proponiamo una citazione di Jünger, tratta da un libro assai divertente, Il problema di Aladino (Adelphi), ma non siamo certi che il rimedio funzioni con malati tanto gravi. «Io non sono un liberale – almeno non nel senso che per questo scopo ci si debba mettere insieme e si debba votare. La libertà la portiamo dentro di noi; un buon cervello la realizza in ogni regime. Riconosciuto come tale, avanza dappertutto, passa qualunque linea. Non è lui a traversare i regimi, sono loro che lo traversano, quasi senza lasciar traccia. Può fare a meno di loro, non loro di lui. Se sono duri, ciò affina l’intelligenza».