mercoledì 15 dicembre 2010

Fiamme su Roma

~ GLI SQUADRISTI DELLA CULTURA
E LA SAGGEZZA DI CERONETTI ~

Ieri coloro che si battono contro i tagli alla «cultura» e alla scuola hanno ricevuto il battesimo del fuoco nel corso di una battaglia decisiva e suprema: mentre i congiurati agivano nel Palazzo contro il governo legittimamente eletto, con studiata sincronia i vezzeggiati studenti devastavano l’alma città di Roma, ne incendiavano le sue piazze più belle, ne manomettevano il delicatissimo cuore barocco. La cultura, quanto di più fragile, sfigurata da ben altro che dalle questioni dei finanziamenti, diventava una causa di tumulti, alla stregua del pane per le plebi affamate di una volta. Nelle medesime ore, Guido Ceronetti, una figura di fronte alla quale scompaiono tutti i pupazzetti idolatrati dai giovani devastatori (gazzettieri del culturame, televisivi pro morte, installatori sboccati…) inviava alla «Stampa» un articolo in cui, con la saggezza di certi vecchi, diceva il suo amen di fronte ai soldi che scarseggiano per le imprese culturali. Anzi, rovesciando i cliché dei piccoli conservatori, che non sanno concepire il sapere e la bellezza se non nei modi in cui li hanno appresi a scuola da insegnanti senza fantasia, Ceronetti provava a immaginarsi un’Italia priva della Scala, evitando le nostalgie delle soubrette in pensione. Quest’«Almanacco», che ricorda spesso come l’arte pittorica languisca da molti decenni, non si commuove per un museo che deve risparmiare o che chiude, anzi nei mesi scorsi ha ripetuto che ben vengano i tagli, ovvero i progetti per sottrarre i soldi pubblici ai party e alle inaugurazioni. Oggi perciò è lietissimo che anche Ceronetti scriva: «non chiamiamo ‘cultura’ un evento turistico estivo, costosamente mondano»; ed è lietissimo che il Maestro delle marionette, evitando di cadere nei trabocchetti feticisti, possa addirittura proporre delle scelte, discutibili come tutte le scelte, certo, ma ancorate al dato assai prosaico che i fondi dello Stato non sono un pozzo di san Patrizio: «Se con un bilancio divoratore della Scala la saggezza dello Stato (mai ci fosse) potesse restaurare degnamente Pompei, non esiterei un momento a dar tutto agli scavi e a proteggerli dall’incuria e dalla sporcizia. […] L’Opera, come il cinema, vixit. Il suo illanguidimento progressivo è inevitabile». Per concludere con una frase scandalosissima all’orecchio dei bigotti: «se la Scala chiude, che male c’è?».

Anni fa, lo scrittore aveva riportato nella sua rubrica la frase letta su un cartello inalberato da un giovanotto che era stato allontanato con violenza da un corteo di sinistra: «Sono un precario felice. L’idolatria del posto fisso è voglia di schiavitù». Un altro dogma della protesta attuale veniva così destrutturato. Nemico giurato del Luogo Comune, recentemente aveva bollato il nome che si erano dati i congiurati neofuturisti: «futuro è un tarocco che porta sgarro, mai adottare una parola così vacua, così flagellata dai venti del Nulla. Il futuro non lo puoi conoscere, non sai dove siano le sue stive, non esiste: la politica lavora (se è un lavorare) sul presente; se è saggia, il prossimo giro di presente ne ricaverà mirabilia, (forse)...».