lunedì 14 marzo 2011

L'Italia coi baffi

~ 150 ANNI FA: ARLECCHINO NON C’È PIÙ ~
~ BRUNO BARILLI CI RIDE SU ~

Centocinquanta anni fa, molti morti, molte ruberie, regni cancellati, gloriose scuole artistiche implose, antiche eleganze uniche al mondo dimenticate. Bruno Barilli lo rievoca a modo suo, mettendolo in burla, era il 1929, in contrasto con l’enfasi attuale che rinverdisce piazze missine trapunte di tricolori e distribuisce coccarde per agitare una sinistra senz’anima.

«Con l’unità e il suffragio universale l’arte da noi fece un capitombolo per le scale, e reclamò dallo Stato un paio di stampelle. L’arlecchino italiano buttò via la sua pelle a scacchi per indossare un “tout de même” burocratico, da funzionario nazionale.

Sorgevano in quel disordine nuovo Arrigo Boito, il Ballo Excelsior, la pittura sociale e il monumento a Vittorio Emanuele. Il teatro che era tutto spensieratezza e passione e mirava al cuore della gente, invece di restar fedele al gusto popolare della vecchia Italia, divenne ufficioso, autorizzato, e girò sui tacchi rivolgendosi con sussiego alla sedicente pubblica opinione. Nacque la coreografia del nuovo regno, prese piede l’allegoria massonica, si inscenarono le apoteosi per il canale di Suez, e debuttarono anche le antenne del telegrafo Marconi (costumi di Caramba).

Anche la danza che da più d’un secolo s’abbandonava ai deliziosi capricci di ragionar coi piedi, fu costretta, per seguire il movimento generale, a pensar con la testa, come la foca sapiente. Difatti c’era poco da scherzare da quando il Paese, seduto nella prima fila di poltrone, strappando la maschera, mostrò alla prima ballerina assoluta, due baffi da doganiere» (da Il paese del melodramma e altri scritti musicali, Vallecchi, 1963, pp. 147-148)

C’era davvero poco da scherzare con un’Italia in mano a severi e tristissimi mazziniani. E l’arte assai ammaccata.

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