venerdì 22 aprile 2011

La Pasqua del ladro

~ COME UN MALFATTORE RIUSCÌ
A ENTRARE PER PRIMO IN PARADISO ~


Lo racconta il Vangelo di Marco (23, 39-43), i Padri della Chiesa vi aggiunsero un po’ di fine umorismo: il brigante che fu crocifisso accanto a Gesù, colui che era esperto nel violare le serrature, nell’aprire le porte, riuscì a varcare le soglie del Paradiso prima dei santi e dei profeti; la sua arte ladronesca fu volta a conquistare una ricchezza senza pari. Inoltre il passaggio pasquale si risolse rapidamente: con una battuta all’ultimo minuto, una proclamazione di fede nel compagno di pena, Disma – come lo nomina un Vangelo apocrifo – si liberò di una vita di delitti e ottenne il Cielo. La liturgia bizantina sottolinea nel triduo pasquale il brigante che supera i giusti. Il Principe del Male aveva causato la chiusura delle porte del Paradiso, un povero ladro condannato a morte le fa riaprire, canta un inno orientale. Nella Passio letta nella Domenica delle palme si ricordava la viltà del primo papa, Pietro, peccatore manifesto. Che singolare religione della clemenza il cristianesimo, basata su quella che proprio la Chiesa orientale chiama la «tenerezza di Dio» e sulla comprensione della natura umana. Se lo ricordino gli accigliati moralisti, gli inquisitori d’ogni risma che si vedono sottrarre gli inquisiti dal Cristo risorto.

Non a caso il santo Ladrone è protettore dei prigionieri come dei moribondi, dei sofferenti supremi su questa terra. Oggi il Venerdì santo permette di gridare il dolore che il mondo classico nascondeva o costringeva nella bella forma. «La tragedia greca non conosceva immagini e metafore del dolore così fisiche, così viscerali», diceva Sergej Averincev. E spiegava: «nel petto dell’uomo il cuore si cela e si riversa nel ventre, le sue ossa si scuotono, e la carne si attacca alle ossa. Questa è la concretissima corporeità dei dolori del parto e dei dolori della morte, corporeità che ha il sapore del sangue, del sudore, delle lacrime, corporeità della carne umiliata; ricordiamo la ‘nudità della vergogna’ dei prigionieri e dei futuri schiavi, della quale parla Michea. In generale la percezione dell’uomo espressa nella Bibbia non è meno corporale di quella antica, con la sola differenza che in essa il corpo non è il portamento ma il dolore, non il gesto ma il tremore, non la volumetrica plastica dei muscoli ma gli oltraggiati ‘recessi del cuore’; tale corpo non è contemplato dall’esterno bensì percepito dall’interno, e la sua immagine è composta non dalle impressioni degli occhi ma dalle vibrazioni delle ‘viscere’ umane. È l’immagine di un corpo sofferente, di un corpo straziato nel quale, tuttavia, vive il calore ‘carnale’, ‘viscerale’ ‘cordiale’ dell’intimità…» (L’anima e lo specchio. L’universo della poetica bizantina, p.101).

Buona Pasqua, secondo le parole dell’innografo bizantino: «che la chiave del buon Ladrone ci apra le porte del Paradiso».