sabato 17 settembre 2011

Il santo che oscurò il Concilio

~ I PRODIGI FANNO BELLA LA CHIESA D’OGNI TEMPO ~

Si arresero alle peggiori forme del moderno. Con le migliori intenzioni del mondo, naturalmente, al fine di aggiornare la religione di Cristo, di lucidarla con l’illuminismo, di arricchirla con la terrena ‘questione sociale’ (che facesse da contrappeso al Cielo), di renderla attraente per il pubblico della televisione, per i consumatori di cultura a fascicoli e di psicoanalisi, per il popolo che cominciava a firmare cambiali, per le vestali del Progresso, per i fans del rock e i lettori di Sartre, per i recenti inurbati e i crescenti inurbani; al fine di rendere accettabile anche ai cattolici ‘adulti’ il catechismo e i prodigi biblici, ai liberali un Dio intollerante, ai socialisti lo sfarzo della religione di Roma, i disgraziati preti degli anni Sessanta/Settanta si prodigarono nel buttare a mare le più preziose formule liturgiche e la prosa latina che le rivestiva; tradirono così l’arte millenaria e la musica altrettanto millenaria, tolsero l’aureola ai santi che non possedevano il certificato filologico, si lasciarono suggestionare dalla desolazione protestante, si illusero fosse un’arte nuova (con lo spirituale incorporato), si piegarono di fronte ai totalitarismi del dopoguerra – non solo con i regimi che opprimono i suoi fedeli, come la Chiesa aveva sempre fatto, trattando saggiamente con i tiranni, cercando di strappare dalle loro grinfie il più gran numero di vittime –, bensì intrattenendosi stavolta con ideologi senza potere, complici e nunzi di quei mascalzoni; aprirono infine le porte a massoni, garibaldini, a tutte le sètte, chiedendo scusa a ciascuno di loro, autolesionismo impressionante, confondendo pericolosamente cristianesimo e masochismo; svendettero o regalarono la tradizione agli antiquari, se ne vergognarono, si inebriarono con gli argomenti dei nemici; camminarono in punta di piedi, clero timidone e laici con il complesso di inferiorità verso i miscredenti: per donare un maggiore appeal della Chiesa finirono per sopprimerla, per cancellare il sacrificio della messa, per riscrivere i libri sacri in traduzioni penose.

Sepolto il secolo, strappata l’identità cattolica a colpi di ‘pastorali’, estirpata la sontuosità dei riti, le chiese si sono svuotate come neppure la peggiore mente anticlericale avrebbe saputo fare e prevedere. Adesso per un paradosso provvidenziale l’unico che attira le folle, invocato, amato, riconosciuto, venerato, è padre Pio da Pietrelcina, santo che fa miracoli, che dissolve le ermeneutiche intellettuali, che consola i malati, i moribondi, i sopravvissuti. Santo inattuale, anzi ‘reazionario’, che confonde gli scienziati, che teme Satana ma lo affronta, che ammonisce i peccatori e che indica loro il Paradiso, promettendo di aspettarli uno a uno sulla temibile soglia finale. Santo della Chiesa prima del Concilio, che riunifica il popolo di Dio, colti e incolti, illuminati e spenti, sani e malandati, alla maniera dei grandi del Medioevo, di Francesco e Antonio. Frate stigmatizzato, frate del prodigio.

Seguìto, nella classifica del gradimento universale, da un parroco polacco che, a sua volta, confidò in padre Pio, che incoraggiò i cattolici e li spronò come facevano i condottieri di un tempo. Santo che, tra l’altro, consegnò il comunismo europeo al Museo dei grandi crimini ormai lontani.