lunedì 13 febbraio 2012

Teatrino del sacro

~ PICCOLE BLASFEMIE DELL'ARTE ~

Nel bellissimo silenzio che avvolge Roma sotto la neve, nella maggiore distanza dal mondo imposta in guisa monacale e guerriera dal manto bianco, appaiono null’altro che parodistici molti discorsi dei contemporanei, soprattutto in campo artistico, sul sacro. Anche i teatranti adesso, piuttosto che fare vibrare il Verbo e mostrarne la straordinaria risonanza, si atteggiano a teorici e cincischiano sul rito, confondendo il mysterium tremendum con il sensazionale, la ierofania con lo show, con lo spettacolare appunto. O riducendolo al mostruoso, alla paura indotta nei lunapark. Sacro senza canone, senza sacramenti, senza sacerdoti (sacer-dot colui che introduce al sacro in quanto officia il sacrificio). Ora il sacerdote è tale perché autorizzato dalla divinità a compiere sacrifici, dunque vicino al Cielo, colui che conosce Dio. Quando si parla di sacro senza Dio ci si aggrappa invece all’esteriorità del rito, al gioco dei bambini di un tempo che «facevano l’altarino», ma senza il loro candore. Che ne è del «timore sacro»? Gli angeli rilkiani almeno se ne presentavano ancora messaggeri benché velati da luttuose quanto ambigue vesti liberty. Non basta annunciare alla maniera della gnosi il dolore del mondo, compiacersene nei versi splendenti e duri come cristallo di rocca, finire annegati in quel nulla che pure ammaliò i mistici. La liturgia soltanto sa rendere visibile e salvifico il «mistero tremendo». Il Vangelo anzitutto ci dice – come ricordava il cardinale Ravasi in una dotta conferenza dell’altro ieri sulla fisicità di Gesù – di un Dio che «si fa cadavere, cadavere manipolabile» nelle mani imbalsamatrici di Giuseppe d’Arimatea. Il Dio che percorre fino in fondo la parabola umana per poi risorgere è il cuore della liturgia cattolica. Non un banchetto conviviale, un incontro di anime elette, è la messa. Meno che mai un teatro. Vi si celebra uno spaventevole evento: la morte del Dio umanizzato e il riscatto che ci assicura, di cui quella morte è pegno. L’orrore che ne provarono i moderni, a cominciare da Lutero, indica come questo sia veramente il più tremendo dei misteri e perciò subito esorcizzato dai suoi seguaci (una eco letteraria si avverte nell’incubo disegnato da Jean Paul con il Discorso del Cristo morto che doveva segnare anche Nietzsche). Perfino dell’eucarestia, del dono del corpo, della frantumazione del corpo che si sarebbe realizzata nelle torture del processo e nella pena della crocefissione, si tende nel cristianesimo d’oggi a nascondere l’aspetto sacrificale per ridurlo a un banchetto fraterno durante il quale ci si accosta a un nutrimento simbolico. Non resta che il secco rito romano antico a sottolineare il carattere cruento di quella immolazione sul Golgotha, l’offerta al Padre del corpo massacrato del Figlio, la consumazione del sacrificio, la salvezza guadagnata in quel pasto. Che sono allora tutte le elucubrazioni dell’arte che si vuole sommamente blasfema di fronte non a una rappresentazione liturgica quanto a un vero e proprio sacrificio, anzi a quello che tutti li riassume? Che valgono le messe in scena delle peggiori sordidezze, l’eterno theatrum mundi, a confronto del più tragico fatto storico, l’uccisione di Dio? O le sorprese più magiche di fronte al miracolo della vittoria sulla morte?

Il protestantesimo separava il pastore dal sacerdote, concedendo a tutti i cristiani il privilegio del levita, così nel mondo moderno i profani ormai orgogliosi di un tale «sacerdozio universale» tentano di riconsacrare l’arte, celebrando riti approssimativi, cerimonie sincretiste, frammenti di sacrifici delle varie religioni, paganesimo di risulta. Nel frattempo gli antropologi hanno trasformato l’aggettivo «sacro», facendolo diventare un sostantivo. Di questo oscuro fenomeno, non più rischiarato dalla religione cui si accompagnava, si impadronirà il surrealismo e il suo «Collège» acefalo, offrendo piccole consolazioni agli atei e promettendo assai agli artisti velleitari. Il messianismo adesso allignava nelle avanguardie, i gesti banali si volevano assoluti. Trescando con la magia e le convulsioni di massa si credeva di far rinascere il mito, di dar vita a nuovi sacri misteri. Predecessori erano stati l’esoterista Rudolf Steiner quando celebrava i misteri di Eleusi o il poeta Stefan George nei suo cenacoli. Non necessariamente riti satanici, queste imitazioni della liturgia divina suonano anche involontariamente caricaturali.

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