venerdì 30 novembre 2012

I disastri del poeta

~ GLI SCRITTI DI DON DE LUCA ~
~ QUARTA PUNTATA ~
~ I POTERI DEL LETTERATO ~

Viviamo nell’epoca in cui tutti i capricci dell’artista o di colui che si ritiene tale sono un dogma per il pubblico e per la critica. Al punto che le scempiaggini estetiche diventano facilmente e rapidamente un modello etico e perché no anche politico, insomma un modello di vita. La brutta usanza, introdotta da Zola, degli appelli firmati dai letterati, quasi avessero dei privilegi anche in campi diversi dal loro orticello dove si coltiva la scrittura, è amplificata ogni giorno di più, quasi che i facitori di versi fossero i padri della patria. Diffidare delle cause che si appoggiano alle raccolte di firme, alle passerelle dei piccoli narcisismi, è un indizio di saggezza. Don Giuseppe De Luca che fu grande amico dei letterati suoi colleghi e degli artisti in genere non li ingannò mai con servilistica e consolatoria prosa. Preferì spiegare loro, come in questa pagina, i limiti del poeta, travolti tragicamente dal caos del romanticismo.

«Alessandro Manzoni sapeva benissimo quel che un poeta può fare, e fa di fatto, e quello che invece non può fare, e se si mette a fare son disastri. Allorquando nei Promessi Sposi egli parla dei consigli di poeti, e consigli dati dagli uomini che sono al potere, egli sorride, e non certo ironicamente. Il Manzoni conosceva la responsabilità umana della poesia, ma credeva poco alla sua efficacia nella diplomazia e nella politica negoziata. Il poeta può mutare la faccia del mondo, ma non può dare un parere sensato.

Un uomo, invece, che si rendeva scarsissimo conto di quelli che erano i risultati pratici di ciò che diceva per lo meno nei vari settori della vita in comune oltre che nel segreto dei cuori, e perciò poté, con poco e con le migliori intenzioni, combinare guai enormi e dare adito a rancori insanabili, dico il Tommaseo, partecipò in pieno la persuasione del secolo romantico, che i poeti, non soltanto avevano tolto di seggio i sacerdoti e gli storici e i filosofi, ma persino gli uomini di governo e i sovrani. Erano i ‘superuomini’ in atto». (da Bailamme, Morcelliana, 1963, p.3)

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