martedì 27 marzo 2012

Professor Adorno vs. Sir Bacon

~ «CARO ‘ALMANACCO’, TI SCRIVO…» ~
~ CONSIGLI EPISTOLARI PER BEN PREPARARSI
ALLA ‘PROVA’ SULLA CITAZIONE ADORNIANA ~

Lettera di un lettore di «Almanacco Romano» sulla proposta del 24 marzo:

Nell’attuale, secolare, «sistema di non-cultura» (Nietzsche), dove non ha più senso neppure parlare di «barbarie stilizzata» (ancora Nietzsche), vale forse la pensa aggiungere qualche citazione per preparare gli aspiranti burocrati a far bene il temino che proponete. Anzitutto, riportando integralmente la frase contenuta a p. 141 dell’edizione italiana Einaudi di Dialektik der Aufklärung, Dialettica dell’illuminismo. Poi, raccogliendo dei frammenti da Minima moralia. Sperando dunque di non sentir parlare nei prossimi tempi di quanto la cultura faccia bene all’economia, alla salute o al buonumore, leggiamo quel che dice il duo Adorno-Horkheimer prima del celeberrimo passo sul «parlare di cultura [che] è sempre stato contro la cultura», frase che voi dell’«Almanacco» vorreste far commentare ai pubblici funzionari un po’ per sadismo e un po’ per vizio didattico: «La barbarie estetica realizza oggi la minaccia che pesa sulle creazioni spirituali fin dal giorno in cui sono state raccolte e neutralizzate come cultura. [...] Il denominatore ‘cultura’ contiene già virtualmente la presa di possesso, l’incasellamento, la classificazione, che assume la cultura nell’amministrazione. Solo la sussunzione industrializzata, radicale e conseguente, è pienamente adeguata a questo concetto di cultura». Capiranno i promotori delle faccende modaiole che cosa c’è dietro quella parola che agitano tanto e che sembra loro così elevata? E si ricorderanno i militanti di sinistra ormai addestrati col metodo della Masochista serba quei discorsi lontani della Kulturkritik? Leggiamo infatti nelle righe seguenti, dove i due pensatori limano ancora quel «concetto di cultura»: «Subordinando allo stesso modo tutti i rami della produzione spirituale all’unico scopo di turare tutti i sensi degli uomini – dall’uscita di fabbrica la sera fino all’arrivo, la mattina dopo, davanti all’orologio di controllo – coi sigilli del processo lavorativo che essi stessi devono alimentare durante la giornata, essa realizza sarcasticamente il concetto di cultura organica, che i filosofi della personalità opponevano alla ‘massificazione’». Nonostante gli incisi, è chiaro che la mitica forza che elettrizza i recenti acculturati ha l’«unico scopo di turare i sensi degli uomini» fuori dalla fabbrica, nel cosiddetto ‘tempo libero’, ovvero l’ora d’aria dei carcerati. Parola di due accademici tedeschi, colti davvero, alle prese con l’entertainment americano. E dialetticamente ricordavano ai marxisti del loro tempo come «in nome della ‘tendenza oggettiva’» e «in atto di disperazione» finissero con l’«attendere la salvezza dal nemico mortale». Queste schegge di Minima moralia centrano la resa a ogni «contemporaneo», la «preoccupante affinità elettiva con l’economia politica» di cui pur si fa critica confusa, «un’affinità simile a quella tra polizia e bassifondi». D’altronde Adorno diffidava anche di coloro che si gonfiavano il petto con la cultura quale scudo onnipotente contro i totalitarismi: «L’affermazione che Hitler avrebbe distrutto la cultura tedesca non è che un trucco reclamistico di coloro che vorrebbero ricostruirla dai loro telefoni d’ufficio. Tutto ciò che – nell’arte come nel pensiero – era stato distrutto da Hitler, conduceva da tempo l’esistenza apocrifa e appartata di cui il fascismo spezzò gli ultimi angolini». Con buona pace dello stuolo di comici che credono di incarnare la Resistenza eterna soltanto per uno sberleffino al politicante di turno.

Un altro che se ne intendeva, avendo conosciuto il rigore di Degas come le dissoluzioni novecentesche, Paul Valéry, poteva riassumere: «Il fatto nuovo tende ad assumere tutta l’importanza che avevano fin qui il fatto storico e la tradizione». Solo per alzare il prezzo di molte novità, allora, ci si fa belli con l’aureola che ancora possiede agli occhi dei più semplici la cultura d’ogni tempo.

Ruggero Antonio Valles