sabato 30 marzo 2013

La bellezza del corpo

~ FLORILEGIO PATRISTICO
NELLA PASQUA
DELLA RESURREZIONE CARNALE ~

«Caro salutis est cardo»
TERTULLIANO, De resurrectionis carnis, 8

«La carne è il cardine della salvezza», scriveva Tertulliano sfidando gli gnostici. Anche se cristiani, i ‘platonici’ non amano il corpo, disprezzano l’aspetto materiale del mondo e lo fuggono in ascetismi che negano una parte del creato, che impoveriscono la stessa incarnazione di Dio. Gli apologeti del cristianesimo insistono sulla fisicità del messaggio evangelico. Il corpo non è un accessorio accidentale bensì lo strumento della redenzione. Metodio di Olimpio (250 circa - 311), nel suo dialogo dedicato alla Resurrezione, fa dire al personaggio ortodosso: «L’uomo per natura viene giustamente detto non un’anima senza il corpo ma un tutt’uno prodotto dall’unione tra anima e corpo in un’unica forma di bellezza». La religione cattolica è sola nel celebrare la bellezza fisica. Bellissima è la Pasqua che commemora la fuoriuscita dalla tomba del Dio fatto uomo e ucciso dagli uomini. Il Dio incarnato risorge e assicura agli umani la resurrezione della carne. Metodio, come molti padri della Chiesa, è incantato dal corpo umano, «la più amabile delle forme, della quale, come di immagine, si serve persino la divinità stessa». Ireneo di Lione (130-202), nel quinto libro dell’Adversus haereses parla della bontà della carne, quella realtà sommamente fragile e precaria che riceve la vita divina e che la seconda persona della Trinità destina alla gloria della risurrezione. Ireneo – scriveva Joseph Ratzinger – rivendicava «la santità della materia, del corpo, della carne» (e l’espressione «santità della materia» suona scandaloso all’orecchio degli spiritualisti). Argomentava il santo martire nel suo trattato contro gli eretici: «Come il beato Apostolo dice nella sua lettera agli Efesini: ‘Siamo membra del suo corpo formati dalla sua carne e dalle sue ossa’ (5,30), indicando con queste parole non un certo uomo spirituale e invisibile, perché lo spirito non ha né ossa né carne, ma l’organismo veramente umano, composto di carne nervi e ossa, il quale è nutrito dal calice, che è il suo sangue, ed è fortificato dal pane, che è il suo corpo».

Con tono esultante, Gregorio di Nissa annuncia nel suo primo Discorso sulla Resurrezione: «ecco giunto il regno della vita e sconvolto il potere della morte». È la Pasqua, e il «più grande privilegio di questo giorno di grazia è di avere distrutto le angosce della morte», dice parlando dalla sua Cappadocia del IV secolo dei nostri tormenti contemporanei. Tommaso d’Aquino spiegherà dolcemente: l’anima separata dal corpo è in una situazione «contraria alla natura» (Contra Gentiles). Tutti gli asceti alla moda, i ‘buddisti’ ai quali sembra normale separare anima e corpo e sottomettere il secondo alla prima, i perversi ‘corretti’ che vogliono umiliare i segni corporali davanti all’astrazione capricciosa del «genere», dovrebbero riflettere su un tale pensiero realistico. La natura umana, nella logica tomistica, spinge alla resurrezione. I morti, velati di mestizia, attendono con noi la ricongiunzione con il corpo nel giorno finale. Il paolino «primogenito dei morti» è, secondo Ambrogio, «la primizia di quelli che si sono addormentati» (De excessu Fratris).

«Se non esiste la risurrezione dei morti, neanche Cristo è risuscitato!», scrive Paolo in un celebre passo di una sua epistola (1Cor 15, 13). La Pasqua è garanzia della sconfitta della morte, non del suo aggiramento con le soluzioni filosofiche, «la verità della resurrezione non può essere compresa senza la carne e le ossa, senza il sangue e le membra», diceva san Girolamo. La decomposizione del corpo prodotta dalla Falciatrice è allora un passaggio doloroso ma un passaggio soltanto, un inganno. Del suo superamento cristiano ci parla tutta la liturgia e in particolare quella del triduo pasquale. Anche l’arte se ne fa piccola banditrice (e risulta così sempre cristiana). Buona Pasqua, dunque.

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