giovedì 28 febbraio 2013

Alle otto della sera


~ LA SPARIZIONE DEL PAPA
NELLA PERCEZIONE DEI MODERNI ~

Da secoli il papa sembra sparito nella percezione dei moderni, una interminabile sede vacante. In tempi più recenti i media propongono una specie di leader impolitico che si batte per la pace mondiale. Nell’ultimo anno del Settecento, dopo che il pontefice romano, fatto prigioniero e deportato in Francia dai napoleonici, era morto in esilio, Novalis, proprio durante una drammatica sede vacante, deprecava questi tempi moderni, rimpiangeva l’universalità cattolica, scriveva un librino, Die Christenheit oder Europa, poetica apologia del papato come chiave di volta della rigenerazione dell’Occidente. Il letterato romantico ricostruiva l’Europa del medioevo e la forma politica che contraddistingueva la Chiesa di Roma, la monarchia assoluta del successore di Pietro e la possibilità per tutti di accedere alla «corporazione» del clero:

«Erano belli, splendidi tempi quelli in cui l’Europa era una terra cristiana, in cui un’unica Cristianità abitava questa parte del mondo umanamente configurata, e un unico grande interesse comune univa le province più remote di questo vasto reame spirituale. – Senza grandi possessi terreni, un solo capo supremo dirigeva e unificava le grandi forze politiche. – Una numerosa corporazione [ossia, il clero], cui ognuno aveva accesso, gli era immediatamente sottoposta, ne eseguiva i cenni e si adoperava con ogni zelo a consolidarne la benefica potenza».

Il poeta tedesco usava toni fiabeschi per rievocare l’universo cattolico:
«Con quale serenità si lasciavano le belle riunioni nelle chiese misteriose, ornate di edificanti immagini, piene di dolci vapori e animate da una musica santamente edificante! [...] Giustamente il saggio Capo supremo della Chiesa si opponeva al temerario sviluppo delle facoltà umane a scapito del sentimento religioso [...]. Alla sua corte si radunavano tutti gli uomini saggi e venerandi d’Europa. Ogni tesoro vi affluiva: la distrutta Gerusalemme si era vendicata e Roma stessa era diventata Gerusalemme, la residenza sacra del regno divino in terra. I príncipi presentavano le loro controversie davanti al Padre della Cristianità, ponevano spontaneamente ai suoi piedi le loro corone e la loro magnificenza, e stimavano addirittura loro gloria il concludere la sera della loro vita, come membri di quest’alta congrega, in divine contemplazioni tra le solitarie mura di un chiostro. Come questo governo, questo ordinamento, fosse benefico, e quanto fosse consono all’intima natura degli uomini, lo mostrò la potente ascesa di tutte le altre forze umane, lo sviluppo armonioso di tutte le facoltà, l’incredibile altezza raggiunta da alcuni uomini nei vari campi delle scienze umane e delle arti, e il commercio di prodotti spirituali e materiali fiorente per ogni dove, nella sfera d’Europa e fino alle Indie lontane. Questi erano, nella loro essenza, i luminosi segni dei tempi genuinamente cattolici o genuinamente cristiani».

Benché cresciuto nella cultura pietista, Novalis prendeva le distanze dalla ribellione luterana:
«Questo grave scisma interno, accompagnato da guerre devastatrici, fu un segno notevole del danno che la cultura arreca al senso dell’invisibile, o almeno del danno temporaneo di un certo grado di cultura. [...] A buon diritto gli insorti si chiamarono Protestanti, in quanto protestavano solennemente contro ogni pretesa d’interferenza nelle coscienze di una potestà incomoda e, in apparenza illegittima. [...] Divisero la Chiesa indivisibile e disertatono empiamente dall’universale comunità cristiana, attraverso la quale, e nella quale soltanto, era possibile la vera e durevole rinascita. La condizione di anarchia religiosa deve essere solo passeggera, poiché la necessità di consacrare unicamente a quest’alta missione un gran numero d’uomini, e di rendere questo numero d’uomini indipendenti dalla potenza terrena in considerazione di questo loro stato, acquista efficacia e validità permanenti. [...] È percio che la storia del Protestantesimo non sarà larga di nessuna grande e splendida apparizione del sovraterreno [...]. Già ben presto si nota l’inaridirsi di ogni senso del sacro; l’interesse mondano ha già preso il sopravvento, il senso artistico ne soffre per simpatia, e solo raramente scaturisce qua e là una schietta ed eterna scintilla di vita».

E insistendo sulle forme moderne che aggrediscono il papato:
«Il risultato del modo di pensare moderno lo si chiamò filosofia, in essa comprendendo tutto ciò che è contrario all’antico, e in primo luogo, quindi, ogni idea contraria alla religione. L’odio personale inizialmente nutrito per la fede cattolica si trasforma a poco a poco in odio per la Bibbia, per la fede cristiana e alla fine addiritura per la religione. Di più: l’odio per la religione si estese molto naturalmente e conseguentemente a tutti gli oggetti dell’entusiasmo, sconsacrò fantasia e sentimento, morale e amore dell’arte, speranze e tradizioni; a stento conservò l’uomo a capo della gerarchia degli esseri naturali [...]. In Germania [...] si cercò di conferire all’antica religione un senso più aggiornato, più raionale, più corrivo, facendo scomparire accuratamente ogni traccia di miracolo e di mistero. [...]. In Francia si è fatto molto per la religione, togliendole il diritto di cittadinanza e lasciandole solamente il diritto di ospitalità».

Ma Novalis si soffermava anche sulla reazione cattolica alla ribellione protestante, sottolineando il ruolo della Compagnia di Gesù, di quei fedelissimi del papa, che un giorno, il papa stesso, costretto dalle potenze mondane, scioglierà per debolezza:
«Tutti gli incanti della fede cattolica divennero nelle mani di questa società [la Societas Jesu, l’ordine fondato da Ignazio di Loyola] anche più potenti, i tesori delle scienze rifluirono nelle celle dei suoi adepti. E costoro cercarono con vari mezzi di riconquistare nelle altre parti del mondo, nel lontano Occidente e Oriente, ciò che era andato perduto in Europa, e di appropriarsi e far valere la dignità e la missione apostolica. E non rimasero indietro neanche nella ricerca della popolarità, ben sapendo quanto Lutero avesse dovuto alle sua arti demagogiche, alla sua conoscenza del volgo. Dovunque fondarono scuole, penetrarono nei confessionali, salirono alle cattedre e occuparono le stamperie, divennero poeti e filosofi, ministri e martiri e, nell’immensa distesa di terre che dall’America va oltre l’Europa in Cina, attuarono il più meraviglioso accordo tra l’azione e la dottrina».

Concludeva Novalis con una specie di appello:
«L’antica forma cattolica [...] era Cristianesimo applicato, divenuto vivo. La sua onnipotenza nella vita, il suo amore per l’arte, la sua profonda umanità, l’inviolabilità dei suoi matrimoni, la sua filantropica espansività, il suo amore per la povertà, per l’obbedienza, per la fedeltà, lo fanno riconoscere come pura religione», ma «la sua forma contingente è come annientata, l’antico papato giace nella tomba, e Roma per la seconda volta è in rovina. Non deve finalmente cessare il Protestantesimo, e far posto a una nuova Chiesa più duratura? Le altre parti del mondo attendono la riconciliazione e la resurrezione dell’Europa, per aderire ad essa e farsi concittadini del regno di Dio. Non dovrebbe l’Europa veder di nuovo una fiorita di anime veramente sante, non dovrebbero tutti i veri congiunti nella fede sentire incontenibile il desiderio di vedere il cielo in terra e di radunarsi a intonare santi cori?» (da Cristianità o Europa, Einaudi, 1942, pp. 4-26).