mercoledì 6 marzo 2013

Il papa nascosto


~ I MEDIA NON LO CERCANO
E NON ALMANACCANO SU QUELLO CHE VERRÀ ~

Uno pseudo situazionista (in realtà un dirigente della televisione di Stato), forte della sua competenza nel campo, preconizzava a metà febbraio che, arrivati all’ultima domenica del mese, l’Angelus d’addio di Benedetto XVI avrebbe oscurato le elezioni politiche italiane: forse – affermava più o meno il guru televisivo – l’eco delle parole pronunciate dal balcone del Palazzo apostolico sarà così grande, così forte il pathos per l’ultima apparizione del papa tedesco, che il giorno dopo i telegiornali si dimenticheranno di annunciarci il risultato del voto. Previsioni sbagliate. Da noi, i ludi elettorali hanno sbaragliato l’evento pontificio. Ma anche sulla stampa straniera, l’abbandono sofferto del trono di Pietro non suscita adeguato clamore. Manca il suggello della morte per chiudere un pontificato e archiviarlo come si fa da secoli. Nel codice mediatico, somiglia in modo impressionante a una soluzione da fiction.

Il gesto ratzingeriano del nascondimento, dopo lo stupore iniziale, ha prodotto piuttosto imbarazzo e successivamente silenzio. Non si poteva ripetere all’infinito gli aggettivi «coraggioso» e «umile». Giornali e televisioni hanno preferito parlare dei loro argomenti prediletti: sesso e denaro. Inutile spiegare anche ai poveri fedeli come si tratti di una riduzione della Chiesa bimillenaria alle esclusive misure del mondo, con i vaticanisti travestiti da cronisti della ‘rosa’ o della ‘giudiziaria’. Si vedono i cattolici praticanti pendere dalle labbra della «Repubblica» quasi il quotidiano modaiolo fosse un pio curato, senza una sana indignazione per le sciocchezze che pubblica ogni mattina su un universo che le è proprio estraneo, anche se appunto tale sciocchezzaio scandalistico è collocato in taglio basso.

Il papa (emerito o meno) sta nascosto ma i giornalisti non provano neanche a cercarlo, i paparazzi non si appostano per sorprenderlo, e certo non si tratta di rispetto. Semplice disinteresse. Folle di fotografi e operatori urlanti – secondo le sempiterne scene della Roma felliniana – si precipitano addosso ai giovani eletti della setta politica che si diffonde come un virus sulla penisola. A Castelgandolfo, dove l’agonia di Pio XII provocò la prima, irruenta, invasione dei media, adesso regna il silenzio.

C'è una chiacchiera dominante sui bus e nei bar; per i vicoli della città eterna gli artigiani parlano sull’uscio delle loro botteghe, assai inoperose di questi tempi, e non si interrogano sul sovrano sparito dall’urbe, sullo strano conclave alle porte, bensì ricapitolano quelle balordaggini sopraggiunte nel Parlamento italiano, e si captano frasi volanti, intrise di uno Zeitgeist maleducato: «i partiti si sono trasformati in organismi di potere…», dicono con aria di saperla lunga, pretendendo che la politica sia un’opera di beneficenza, un’attività di volontariato...

Storici e cardinali ripetono sempre che la fine del potere temporale rappresentò per la Chiesa di Roma una vera liberazione, sottratta alle catene mondane, agli impacci politici, alle distrazioni materiali, ma neppure la Chiesa del beato Pio IX fu considerata dagli accaniti anticlericali del tempo alla maniera negativa con la quale si guarda in queste ore a quella attuale. Nessuno allora la dipingeva come un’accolita di pederasti e di banchieri loschi. Al più si polemizzava con l’aspetto ideologico, le si rovesciavano addosso le accuse dell’illuminismo vecchio di un secolo, si ricorreva alle argomentazioni di Kant sulla coscienza, si duellava a colpi di dogmi scientifici, si usavano le armi filologiche per contraddire un passo evangelico, si considerava il papato come la causa della particolarità italiana, prendendosela con la cultura controriformista, con il manierismo e con il barocco, talvolta addirittura con il Rinascimento. La colpa era di Machiavelli e dei gesuiti: dispute elevate, in fondo. Adesso, di fronte a un Vaticano privato da oltre un secolo del potere politico, sottratto al gioco delle grandi potenze, un Vaticano angelico – «dagli eunuchi per il Regno» (secondo Matteo 19,12) al Regno degli eunuchi – , uno staterello apolitico, si addita la Santa Sede come il più turpe esempio di umanità. La figura del papa e quelle dei cardinali sono accostate anzitutto al sesso imperdonabile (o che almeno alla Chiesa cattolica non si perdona), quella pedofilia che viene enfatizzata e lodata nel mondo pagano dei greci, anche sui libri di scuola, e in modo esplicito. Si dà poi dei mafiosi riciclatori ai responsabili delle istituzioni economiche vaticane, avvolgendo la Chiesa con un’altra parola tabù: mafia. Infine, il ritiro della scomunica per i vescovi seguaci di monsignor Lefebvre (naturalmente la scomunica che i papi del Concilio trovavano fuori luogo per i potenti persecutori dei cristiani va mantenuta per i fedeli minoritari della liturgia millenaria!) provoca un’altra macchia fondamentale per la curia ratzingeriana, niente di meno che il negazionismo (per colpa di un vescovo lefebvriano che aveva idee balzane sulla storia della seconda guerra mondiale). Nessuno si fa scrupoli di fronte al negazionismo del comunismo né qualcuno chiede se non meritino una scomunica o quanto meno un ammonimento i monsignori mediorientali benedicenti le masse assatanate che vogliono fare strage di ebrei in ‘Terrasanta’, spesso trasportando nelle loro auto diplomatiche di nunzi le armi per i terroristi che fanno il tiro al bersaglio sull’israeliano. Oggi non si distingue più, come ancora si faceva in tempi ‘risorgimentali’, tra la Santa Sede e la Chiesa, la centrale cattolica è vista come una banda di politicanti e il piccolo Stato come uno scandaloso tradimento del Vangelo. L’«affettività antiromana» di cui parlava Carl Schmitt è diventato confuso cosmopolitismo che appiattisce tutte le città dell’Occidente.

I media cercano solo il nuovo o il presunto tale e seppelliscono cinicamente ogni traccia del passato, organizzano l’oblio. Isolano le frasi, spezzettano la vita, parcellizzano il sapere e lo rendono merce. Il loro novum è l’opposto di quello lieto annunciato dai cristiani. I media sono assertivi, urlanti, aggressivi, ansiogeni, vendono slogan, incantano il mondo; l’horror ha la maggiore attrazione. Nei momenti critici delle riunioni di redazione, entra il cronista di ‘nera’ promettendo ai colleghi la «bella notizia»: un orribile delitto con particolari macabri da mettere in prima pagina. La medesima logica sovraintende alla rinuncia di un papa, alla preparazione di un conclave. Per i palati assuefatti ci vuole l’attacco blasfemo alla religione dell’amore, al Cristo che difende gli innocenti, all’unico libro che celebra la vittima. Se poi non bastasse il giornalismo d’assalto c’è magari, in guisa più salottiera, il vangelo della Passione 'demitizzato' su Radiotre da un pastore protestante che con sussiego da studentello secchione fa diventare la Coena Domini una cenetta tra amici, mentre la conduttrice ride divertita al pensiero dei retrogradi che prestano fede alla storia del pane e del vino. Nessuno scandalo, per carità, è solo banalità del male, trionfo dei luoghi comuni, forse semplice mancanza di fantasia. Anche per questo motivo, è impossibile capire dai giornali quello che sta accadendo nella valle dove Pietro fu crocefisso dai romani.