sabato 6 aprile 2013

Noi poveri

~ LA RICCHEZZA DI UNA PAROLA
TROPPO ABUSATA ~

Il denaro come unico argomento: si torna sempre là insistentemente quando dalle tribune più elevate si accenna alla povertà. Uno dei padroni del mondo intervenendo sulle scelte del conclave vaticano si riempie la bocca dell’espressione «ultimi della terra». Un padroncino italiano, il direttore del quotidiano dei modaioli, fa eco al presidente degli Stati Uniti e sproloquia a sua volta degli «ultimi». Che ne sanno i milionari dei poveri? Sono del tutto incompetenti coloro che gareggiano per essere i primi. Però non risparmiano due parole condiscendenti a chi non somiglia affatto a loro, l’importante è la diffusione globale dei beni materiali, per cui li si diffonde nella testa degli umani come il vero Bonum, magari dimenticando di aprire il portafoglio. Sarebbe meglio mettessero mano ai soldi piuttosto che sperperare locuzioni di retorica dozzinale che non serve a nessuno e irrita chi è a caccia di sostentamento. Insomma, diano da mangiare agli affamati e da bere agli assetati ma non la facciano lunga con le chiacchiere.

Un saggio ebreo ci ricordava come ai nostri giorni tutto ciò è nient’altro che un surrogato della religione: «il materialismo dialettico ha preso il posto dell’attributo divino della giustizia, la psicoanalisi il posto dell’attributo della misericordia e Dio onnipotente è stato bandito da entrambi» (Scholem). Da più di duecento anni è in corso un messianismo secolare, puntualmente i messianismi finiscono in catastrofe, e i diseredati ci rimettono tutto.

Un cattolico miserabile (alla Hugo) dell’Ottocento, lo scrittore Léon Bloy, riempiva di insulti solenni e violenti le signore della beneficenza, arrivando a innalzare un inno al Cielo quando un loro mercatino, il Bazar della carità, andò a fuoco e nell’incendio rimasero bruciate più di cento persone. Le carni bianche delle pie dame arrostite producevano l’esaltazione di quel santo bruto, con grande scandalo dei cristiani tiepidi e degli anticlericali uniti e sconvolti per il fatto che il feroce tradizionalista non piangesse con tutta la Francia per un simile disastro. Anche a quei tempi, infatti, guai a parlare di castigo divino, del Povero che non si accontenta delle briciole. Oggi il letterato apocalittico immaginerebbe dei roghi accendersi simultaneamente nelle redazioni di molti giornali e televisioni per queste speculazioni sentimentali sulla sofferenza, per il francescanesimo d’accatto che si sparge a piene mani, per questa bestemmia sguaiata delle vite dolorosissime. Che Dio risparmi a noi, poveri a vario titolo, le chiacchiere sui poveri che riempirono i salotti negli anni Sessanta e che adesso, chiusi i salotti, rischiano di tornare, ormai vocio universale, osceno rumore di fondo, ad assordare chi già deve far fronte alle proprie disgrazie.

Più utile, ricordare i significati biblici della parola in questione, come faceva, in un’introduzione della sua antologia I mistici, Elèmire Zolla, erudito nient’affatto cristiano ma conoscitore dei significati nascosti nei libri sacri, capace di accostamenti insoliti, di guizzi analogici, di intuizioni preziose:

«In ebraico esistono otto vocaboli diversi per ‘povero’, perciò esistono otto possibili variazioni di significato a seconda che si intenda del povero il desiderio, l’incertezza, la tristezza, l’avvilimento, la dolcezza, l’umiltà, l’autonomia e via distinguendo. Il pitocco del testo greco corrisponde al povero come profeta della minoranza sofferente, oppure ‘povero’ è l’appartenente a una santa confraternita (secondo Graetz e Renan in tal senso si ha da intendere il significato di “povero” in Isaia e nei Salmi)? […]. I Settanta tradussero con lo stesso termine della seconda beatitudine il “povero” dei Salmi, cioè con “mansueti”, “dolci”, talché, forzando il senso greco, questo πτωχός può essere l’opposto dell’uomo duro, avaro, che vuole possedere e acquistare per se stesso soltanto. A questo punto ci si domanda: le varie beatitudini sono un elenco di qualità diverse o di sinonimi?

La filologia dei santi aggiunge interpretazioni quante ne vogliono le infinite esigenze dell’anima; e la più spontanea per il mistico è quella che ravvisa nella povertà di spirito la notte oscura, ossia l’immobilità e aridità penose che straziano l’anima per prepararla alle nozze con Dio.

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi nella prima delle sue Quaranta giornate suggerisce una diversa esegesi: “Allo Spirito Santo ero legata col Voto di Povertà. Non però che l’anima si abbia conformità essendo lo Spirito Santo pieno di tutti i Tesori e Ricchezze Celesti, ma m’intendevo essere in quel modo che Jesu disse nell’Evangelio: ‘Beati pauperes spiritu’, e Beate a quell’anime che conoscono e sanno ricevere e conservare delle ricchezze e tesori di esso Spirito” […]. Ancora s’aggiungano alla lista imperfettissima, san Francesco di Sales, che nell’introduzione al Traité de l’amour de Dieu scrisse: “Ce que notre Seigneur a dit: ‘Bienheureux sont le pauvre d’esprit’, est grandement amplifié et déclaré selon le grec: ‘Bienheureux sont les mendiants d’esprit’”, e san Giovanni della Croce, che nella Salita al Monte Carmelo, XXIX, 3, dice: “Estinguendo il gaudio vano, l’uomo diventa povero di spirito, cioè senza compiacimenti. […]

… povero di spirito, fra i tipi del Mediatore, è il buffone, come nella tradizione cristiana fra’ Ginepro e san Filippo Neri, i “pazzi di Cristo” russi. I poveri, nell’antico Israele erano naturalmente sovvenuti dai ricchi, talché ricchi e poveri parimenti potevano ringraziare la loro “posizione”, in quanto essa formava la base dell’elemosina, della liberalità e dell’umiltà, e d’altri beni comuni. La largizione più frequente dei ricchi era il diritto di spigolatura, come si osserva nel libro di Ruth, perciò il “povero” era colui che nella società ebraica viveva ancora come nell’età dell’oro matriarcale degli spigolatori, senza industria, accettando il rischio che questo comportava. Il povero aveva un suo tipo di perfezione da raggiungere (e il Cristo dirà che esso è anche l’unico, senza concedere nulla al provvido padre di famiglia) e simile al povero è colui che non bada alle esegesi farisaiche, il povero di spirito. […]
A considerare la teoria mistica della respirazione (vd. l’Esicasmo) s’intende πνευμα anche in senso sacramentale, cioè letterale: poveri di spirito, di alito, son coloro che, per una gran risata o un profondo pianto, hanno espirato completamente e non hanno immagazzinato dentro di sé fiato». (I mistici, Bur, 1976, vol. II, pp.221-224). Un buon antidoto, queste parole effervescenti, alla venefica piattezza sociologica.