sabato 21 settembre 2013

Devozioni moderne

~ IL FILOSOFO MARXISTA E IL PAPA POP ~
 
Nel trionfo dell’esistente, della piattezza piccolo borghese, dell’apologia dei peccatucci di provincia, del perdono totale, un ‘condono tombale’ come dice il fisco, che cancella il senso del peccato (Simenon in confronto è un profondo teologo morale), della misericordia ridotta a sentimentalismo (attraverso un’intervista, Dio Padre diventa un patetico Dio Nonna), mentre si vuole trasformare Roma in una periferia del mondo mercificato, conviene allontanarsi per un po’ da una discussione così degradata, cercare un riparo dal vocio deprimente (c’è chi ha scambiato la missione evangelica con la mania aziendalistica dell’audience).

Roma è la capitale della forma, la Chiesa di Roma mette i punti fermi attraverso il dogma; al contrario, certi personaggi paiono conoscere soltanto l’emotività, il sentimento cieco, il buonsenso curialesco, il vezzo appunto in-formale, perciò non è fatuo andare a curiosare tra i vecchi nemici del mondo contemporaneo, tra chi nutre ancora rispetto per l’oggettività, tra gli ostinati non-riconciliati, tra coloro cioè che non riconoscono la legittimità di un simile universo ridicolo: un colto pensatore marxista può risultare più interessante di un papa pop (come lo chiama una nostra amica), che ogni giorno fa da eco alle vacuità mondane. 

Il nostro marxista, interessato all’«antimondo» e all’«antistoria», ci parla di uno spazio ‘profetico’ del cattolicesimo. Per lui la Chiesa di Roma assolve una importantissima funzione: quella «di trattenere la modernità, di ritardare l’accelerazione dello sviluppo» (Intervista a Tronti, Quel circolo di sacro e secolare, «il manifesto», 29 aprile 2005). Antropologicamente ormai si pone un problema molto serio a livello planetario – sostiene il filosofo materialista –, vale a dire il contrasto fra una accelerazione sempre più vertiginosa «del tempo nella produzione, nei consumi, nelle comunicazioni, nell’uso di massa della tecnologia, e i tempi umani che non riescono ad assorbirla, fanno fatica a starle dietro, con tutte le conseguenze che ben conosciamo in termini di comportamenti di massa: assunzione superficiale dell’innovazione, accettazione leggera di tutto quello che passa il mercato, acquisizione volgare del benessere e della ricchezza». Ora, nell’«acquisizione volgare del benessere» non c’è forse quel riprendere i peggiori vizi del liberalismo? Non è il mercato e la sua unica legge – senza più interrogarsi su amore e desiderio (e magari anche sui feti da eliminare) – a imporsi anche nel più intimo della persona? L’«accettazione leggera» di ogni ‘perversione’, dimenticando il senso del peccato, già assolto in una specie di tutto compreso, non è la più servile remissività al mercato? 

Il pensatore marxista ritiene che spetterebbe anzitutto alla sua parte politica di «farsi carico di questa contraddizione invece di mettersi al seguito della corsa», invece cioè di rincorrere sempre e comunque il nuovo che avanza, senza mai preoccuparsi di «trattenere» qualcosa, di «ritardare» per l’appunto «l’accelerazione dello sviluppo» su tutti i piani della vita storica individuale e collettiva». A maggior ragione, aggiungiamo noi, la Chiesa di Roma dovrebbe ben guardarsi dal partecipare alla corsa all’aggiornamento, mostrando in tal modo di vergognarsi di quello scarto che è la sua gloria. 

«Il religioso – dice il filosofo – è un bisogno umano, legato alla imperfezione, alla fragilità e transitorietà di noi esseri terreni, è una dimensione eterna con cui bisogna fare i conti» (Intervista a Mario Tronti, in «Il giornale di filosofia», 2 agosto 2008). Invece i cattolici progressisti vogliono costantemente fare i conti con quanto prescrive il mercato culturale, come se l’eternità fosse in continuo ritardo sulle voghe passeggere, rovesciando dunque l’ordine in una serie di paradossi grotteschi. Il marxista arriva allora a considerare la Chiesa post-conciliare come una istituzione che cede costantemente alla modernità sua nemica, che lascia svuotare la fede dalla tecnologia massmediatica. 

È strano dover leggere proprio sull’«Unità» delle sagge riflessioni come queste: «La Chiesa sente su di sé il morso dei tempi nuovi [..] Il Concilio in fondo è il nuovo episodio di un antico rapporto, controverso: quello tra Chiesa e modernità. Una storia lunga, con luci e ombre, più ombre che luci. Lo stesso Novecento, il secolo della modernità in crisi, ne aveva dato drammatica rappresentazione. Il contesto però a quel punto è inedito. Il Moderno sta arrivando in mezzo al popolo. […] Nel Concilio la lotta fra tradizionalisti e innovatori fu frontale, con la vittoria, bisogna dire, di questi ultimi, come si può vedere dalla maggior parte dei documenti conciliari. Semmai, le mediazioni al ribasso vennero nel dopo-Concilio. […] Il problema di oggi, a cinquant’anni di distanza, è valutarne gli esiti e darne un giudizio disincantato. Difficile dirne in poche battute. La mia impressione è che ci fu un di più di subalternità rispetto all’onda modernizzante e secolarizzante allora potentemente in atto, e da allora poi dilagante in forme sempre più antropologicamente devastanti». Devastanti più che mai gli esiti se il «vescovo di Roma» agita i temi imposti dalla rozzezza dei massmedia. 

Così «l’aderire passivamente a una pura esigenza di aggiornamento dell’istituzione» pare correre dietro «non alla modernità, ma a quella sua deriva che è venuta avanti come cosiddetto postmoderno». E «chi non coglie nel Moderno il segno tragico, che lo attraversa, sempre, chi ci vede soltanto uno strumento di sviluppo per la storia della salvezza, chi non ne riconosce le aporie, le contraddizioni drammatiche, fino a capire come nel progresso si nasconda il ritorno del sempre eguale, non vede lontano, si fa prigioniero di un presente effimero, e innesca senza volerlo ingovernabili percorsi di decadenza. È accaduto in vari campi. Il campo ecclesiale non ne è rimasto immune». 

Non si tratta solo dell’onnipotenza del mercato, ci sono pure le conseguenze di questa sugli umani: «ma – ecco un grande tema culturale di oggi – viene riprodotta in maniera allargata da un vecchio apparato ideologico radicaleggiante, falsamente libertario, di stampo neo-borghese progressista, che separa libertà da responsabilità e così crea guasti forse irrimediabili soprattutto nella formazione umana delle giovani generazioni». Benedetto XVI appariva all’autore dell’articolo la voce di colui che, «per chi sa intendere, detta, a volte contro la sua Chiesa, un messaggio teologico di rigore etico, di cui oggi si sente gran bisogno, accanto e ben oltre il rigore economico, consiglia uno stile di austerità nei comportamenti, individuali e sociali, sfugge opportunamente nei linguaggi a ogni posa da grande comunicatore» (M. Tronti, Venne la Riforma. Ma restano difficili i conti col Moderno, «l’Unità», 7 ottobre 2012). Ovvero, tutte quelle forme che sono ora dissolte dall’uragano argentino abbattutosi nella «vigna del Signore»..