venerdì 26 dicembre 2014

Natale 2014


Intercettazioni involontarie. Camminando per una strada di Roma giunge alle spalle la voce concitata di una coppia che litiga con la tensione accumulata nel tempo di festa, quando il tempo di festa è gestito dai mercanti che spingono all’ossessione dell’accaparramento di cose inutili. E le minuzie provocano sconquassi. Lei: «io ci tengo al mio diritto a essere felice…». Lui risponde in un romanesco frusto e cinematografico: «allora torna para para alla tua indipendenza». Così scivolò nel grottesco la pomposa dichiarazione dei diritti proclamata al tramonto incandescente del Settecento. Così l’Illuminismo finisce in parodia triviale. Così gli attuali ripetitori di quelle pretese, i catechisti delle umane prerogative, tra cui papi e concili moderni, si ritrovano a smerciare «diritti alla felicità» senza riderci su.

Tutto il contrario di quanto contempliamo nel presepio. Il rovesciamento delle gerarchie umane per opera divina avviene senza forza, senza politica, senza contratti né dunque cartigli di diritti e di doveri. Un miracolo del dono. Un gesto generoso di Dio che è persona e non astrazione spinoziana. Un sacrificio dello splendore divino. Una scelta dell’«umano troppo umano» nell’oscurità del popolo minoritario per eccellenza, dei miseri, degli impolitici, degli arcaici: ebrei, pastori. Nel cuore del mondo, nel luogo politico supremo, nell’Impero di Roma Dio si incarna – secondo il Vangelo – ma tra gli estranei allo spirito del tempo. Nessuna agitazione sociale, nessun chiacchiericcio dei diritti. La favola della felicità su questa terra è estranea alla scena del presepio. Vi si intravede invece, come molti artisti dipinsero espressamente, la croce del sacrificio. È solo attraverso la morte di Dio che tutte le creature risplendono di una luce che arroventa e incenerisce ogni carta delle regole, che toglie fondamento a ogni giustizia umana, che abbacina i credenti nella legittimità del moderno. La luce della vittima, direbbe Girard, che smentisce il dogma del pensiero unico per cui tutte le religioni hanno uguale dignità.