~ CATTOLICI, ANCORA UNO SFORZO
PER ESSERE
DEI GENTILUOMINI ALLA MODA ~
Giudicare il
passato con il paradigma giuridico e linguistico dell’oggi è cosa illegittima e
ingenerosa. Sconcertante dunque quel ripetuto scusarsi della gerarchia
cattolica (rivolto al genere umano? ai propri fedeli?) per teorie e pratiche,
risalenti ad alcuni momenti della sua lunghissima
storia, che non si conciliano con il pensiero dominante della nostra epoca.
Eppure, subito dopo lo sconcerto – anche per lo svilimento delle pie intenzioni
di chi ci ha preceduto, dei maggiori sempre da venerare, delle loro imprese a
gloria di Dio –, subentra la vecchia idea della barchetta di Pietro nel mare
procelloso, della navigazione miracolosa tra venti furiosi, del magistero asintotico,
della solidarietà complice tra pontefici lontani nel tempo che permette
correzioni reciproche. In questi pubblici atti di umiliazione possono magari brillare
lampi di tradizione viva. I papi fanno a gara nel lucidare l’immagine della
Catholica, nel cancellare le umane imbrattature che la ammorbano come una muffa.
Nobile dunque l’intento, c’è però il rischio di guardare alla storia da un
punto di vista privilegiato, come se si fosse ormai pervenuti, per opera del
progresso, a un’altura celeste, definitiva. Dalla sommità delle umane presunzioni
ci vergogneremmo delle rozzezze del passato, senza renderci conto dell’abisso
dove siamo precipitati noi, i moderni. Di scusa in scusa, arriverà il tempo in
cui, davanti al tribunale del pensiero a una sola dimensione, si reciterà un
estremo «mea culpa».
Appena
liberato dal carcere della Bastiglia, il marchese libertino della algolagnia dedicò
ai suoi liberatori, nel frattempo divenuti regicidi, un libello titolato Francesi, ancora uno sforzo per diventare
repubblicani, dove si promuovevano
le peggiori nequizie, il suo repertorio per l’appunto sadico, onde trarre le
definitive conseguenze teologiche dalla decapitazione del re: se avete ucciso
il garante divino dell’ordine, tutto è permesso. L’opinione pubblica attuale è
meno affabile del perverso settecentesco e impone i suoi diktat: Cattolici, ancora uno sforzo se volete
essere dei gentiluomini alla moda, ripete all’infinito e in modo ossessivo
su tutti i media. Ovvero, non bastano gli aggiornamenti, la cancellazione della
liturgia secolare, l’annacquamento delle regole morali, l’ossequio verso il
pensiero dei nemici: ci sono delle pagine nei libri sacri che proprio non
vanno. Sì – essa dirà –, avete cassato la preghiera per gli ebrei del venerdì
santo, senza sottilizzare, ve ne diamo atto, se la parola «perfidi» si
riferisse a una malvagità congenita del popolo di Mosè o all’etimologia che
spiega: «ostinati a non riconoscere una verità», ma c’è ben altro da fare.
Prendiamo il biblico Deuteronomio. Siete al corrente, signori del dialogo, di che
cosa c’è scritto in quel libro del Pentateuco? Leggiamo, citando dalla Bibbia nella
versione ufficiale della Cei: «Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdotto nella terra
in cui stai per entrare per prenderne possesso e avrà scacciato davanti a te
molte nazioni: gli Ittiti, i Gergesei, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli
Evei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e più potenti di te, quando il
Signore, tuo Dio, le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le
voterai allo sterminio. Con esse non stringerai alcuna alleanza e nei loro
confronti non avrai pietà. Non costituirai legami di parentela con loro, non
darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi
figli, perché allontanerebbero la tua discendenza dal seguire me, per farli
servire a dèi stranieri, e l’ira del Signore si accenderebbe contro di voi e
ben presto vi distruggerebbe. Ma con loro vi comporterete in questo modo:
demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali
sacri, brucerete i loro idoli nel fuoco» (7, 1-5).
Ecco, i signori della
tolleranza trovano spesso decisamente «intollerabili» molti pensieri e molte
pagine delle culture a loro opposte, esigendo e ottenendo dal potere politico assai
rigide censure. Diranno allora gli avversari: può la Chiesa di Roma che ha
chiesto perdono per le incomprensioni
con Galileo e per la repressione delle eresie, lodare, incensare e diffondere
un libro che comanda di comportarsi in tal modo? E a questo punto faranno
menzione di un altro passo: «Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che
non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre e, benché l’abbiano
castigato, non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo
condurranno dagli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, e diranno
agli anziani della città: ‘Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole
obbedire alla nostra voce, è un ingordo e un ubriacone’. Allora tutti gli
uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà. Così estirperai da te il male,
e tutto Israele lo saprà e avrà timore» (21, 18-21). Razza di lapidatori,
aggiungeranno i moderni nemici, pentitevi, pentitevi, ritrattate, chiedete
scusa. Né le aperture dei sinodi sulla famiglia – insisteranno i critici della
Chiesa – potranno attenuare raccomandazioni come questa: «La donna non si
metterà un indumento da uomo né l'uomo indosserà una veste da donna, perché
chiunque fa tali cose è in abominio al Signore, tuo Dio» (22, 5). E condanne a
morte – sottolineeranno – sono comminate dalla Bibbia per ogni tipo di
adulterio, lunga è la sequenza deuteronomica, a cominciare da: «Quando un uomo
verrà trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire:
l'uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele»
(22, 22).
Di fronte a
queste severissime citazioni, all’opposto dell’attuale sentimentalismo
asfissiante, quanti ecclesiastici resisteranno alla voce del progresso che
impone loro di scusarsi per il libro santo? Quanti vorranno fare il gentiluomo
e saranno pronti a bruciare (simbolicamente, s’intende) le pagine bibliche
incriminate? E quanti troveranno la soluzione del problema rifacendosi all’eresiarca
Marcione, rigettando cioè l’Antico Testamento e cercando di piegare il cristianesimo
alla vita moderna? Ma anche senza collazionare gli innumerevoli precetti
violenti del Messia che annuncia di aver portato la spada in questo mondo,
basterà nominare l’Apocalisse, libro canonico, parte integrante e conclusiva
della Bibbia cristiana, perché sia subito scandalo anche nel Nuovo Testamento. La
vendetta divina, il Giudizio sonoro e tremendo non sono motivi che piacciono ai
contemporanei, i discorsi ‘ebraici’ del visionario di Patmos sembrano poco
adatti alla angelicità in voga. Anzi, mai come adesso, il tono apocalittico,
consentito alla science fiction come
al catastrofismo socio-politico, è negato alla religione. Perfino nel
mondanissimo Rinascimento le pagine escatologiche avevano maggior risalto, e la Cappella papale per
eccellenza, il cuore della corte che oggi si condannerebbe come ‘paganeggiante’,
le metteva in scena nella più grandiosa
immagine della storia dell’arte: il Giudizio
michelangiolesco. Icone della guerra finale, che adesso ci proibiamo per tabù
impostoci dagli altri. Libro «oscuro, sublime, sanguinoso» (Balzac), dalla
prima all’ultima parola è l’intera Bibbia che appare estranea al nostro tempo. Non
basta nascondere o svilire nei commenti l’Apocalisse come le più dure parabole
di Cristo, negli ultimi tempi alla Chiesa di Roma vien intimato a gran voce di chiedere
scusa per il fatto di non rassomigliare a nessun’altra istituzione, a
nessun’altra religione. E il suo passato non somiglia neppure alla lontana a
questo presente. Peccato gravissimo di anacronismo agli occhi dei contemporanei.
Imperdonabile essere inattuali, nonostante i capi ecclesiastici ricorrano a
ogni camuffamento, pure al glamour, per nascondere tale colpa. Del resto,
benché sempre accusata di saper tessere compromessi come nessun altro, la Chiesa di Roma si
caratterizzò fin dall’inizio con quella caparbia difesa dei «valori non
negoziabili» per cui, unica tra le sètte che pullulavano nella capitale pagana,
rifiutava il culto dell’imperatore di turno, facendosi massacrare per resistere
all’idolatria politica. «O Roma felix», si canta nella festa di Pietro e Paolo,
«es consecrata glorioso sanguine», imporporata dal sangue che la fa santa. In
tempi tanto soft, nella realtà virtuale che prende le forme di una pseudo
eleganza del design al servizio delle merci, il sangue è inopportuno. L’Apocalisse risulta più minacciosa di ogni
effimero terrorismo, dal momento che annuncia la distruzione definitiva delle
fondamenta del mondo.
L’ipocrisia
del discorso pubblico condanna le guerre antiche condotte in nome della verità
e accetta le stragi dell’oggi compiute in nome della comodità: che crepino in
mare donne e bambini dell’altra costa purché non turbino con la loro presenza
il ‘tenore di vita’ opulento del Nord Europa protestante e ordinato, eticamente
corretto. «Questo orribile protestantesimo che ci divora» (ancora Balzac) e ci
divora tutti, anche in modo inavvertito. Non ne vogliono più sapere del
legislatore ebreo che raccomanda di passare a fil di spada il nemico, che
indica le regole per vincere la guerra difficilissima, e che ordina di
rispettare lo straniero che viene tra noi. Ignorano le parole dolcissime con
cui l’Apocalisse parla al cuore dei disperati.
Verrà forse
un vescovo a dire: «Perdonateci se abbiamo un libro intollerante, dove c’è l’istigazione
all’odio e un esecrabile spirito di vendetta». È già luogo comune che solo le
religioni sono feroci, quella cattolica prima fra tutte. Ci scusiamo perciò –
finiranno col balbettare – per il nostro libro, per i nostri avi
impresentabili, ci scusiamo per il nostro Dio di altri tempi.
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