martedì 1 settembre 2015

Padri e figli


~ LA FINE DEGLI EROICI FURORI
E LA PIETAS DELLA RESTAURAZIONE ~
~  «Il ‘900», V PUNTATA ~

Diari lontani (1989-1995) per cercare il bandolo del secolo scorso. Le puntate precedenti qui qui qui e qui.

Soltanto forme di darwinismo scatenato permettevano simili espressioni: «Alla nazione [tedesca] farebbe bene un ricambio di sangue, una rivolta dei figli contro i padri, una sostituzione della gioventù alla vecchiaia» (Moeller van der Bruck nel 1909). Le battute sguaiate della goliardia eterna diventavano parole d’ordine politiche.

PARIGI - Al rovesciamento dei valori predicato dai tedeschi si affiancò la trasmigrazione dei valori, di cui si incaricarono soprattutto i francesi: lo scacco matto della antropologia levistraussiana al Re europeo, l’arte africana innalzata nel vuoto spinto di quella europea (e il presidente Senghor assicurava che le raffigurazioni negre sono meno naturalistiche di quelle di Bisanzio).

PONTI - Epoca di transizione? Si vorrebbe un esempio preciso di un secolo che non fu tale. Anche il periodo che durò più a lungo fu chiamato Medio Evo, età di mezzo, che sfocia nel Moderno.

PATRIE - Per secoli l’ordine esigeva che i contadini restassero inchiodati alla terra di padre in figlio, che i popoli – per l’«istinto di patria» – fossero attaccati al suolo che calpestavano, anche quando questo si presentava ingrato, gelato o desertico. Ma nella staticità universale, un popolo di miseri correva di qua e di là esprimendo un appassionato patriottismo lontano dalla terra di origine dove «scorre latte e miele». Senza più suolo natìo, da secoli e secoli, sparsi e sempre pronti ad adottare nuove città, gli ebrei della diaspora rappresentarono un modello di patriottismo ‘internazionale’ ma senza l’astrattezza dell’internazionalismo.

RIVALITÀ - Nelle situazioni estreme, quando si è annichiliti dal terrore della morte, cala la propensione ai bei gesti, alla generosità, alla cavalleria. Al loro posto, egoismi sordidi. Di fronte a un pericolo mortale si è spesso rivali. Coloro che, incalzati da una perenne emergenza, ritennero di «non potere essere gentili», diedero vita alla più spietata concorrenza tra loro. Pensando di combattere una battaglia decisiva per salvare o dannare il mondo, trovarono il nemico sempre al loro fianco.

FEDI - Nelle convulsioni del Novecento non si ebbero soltanto gli Heidegger  e gli Jung che prestarono fede, sia pure per poco tempo, nelle speranze del Terzo Reich, si contarono anche, e a centinaia, artisti e pensatori, gente delicata dunque, che si entusiasmarono in Occidente per il dittatore georgiano. Si ebbe perfino l’omaggio dadà al Cremlino. E Tristan Tzara se ne andò in Spagna a sterminare gli anarchici.

DOPO LA TEMPESTA - Nel 1929, soprattutto in Francia, si parlava di «fine del dopoguerra», quindi a un decennio circa di distanza dalla data fatale che tirava fuori dalle trincee milioni di uomini. Per trovare la ‘fine’ del secondo dopoguerra, quello apertosi nel 1945, bisogna attendere il 1989, quasi mezzo secolo. Non a caso quel tempo interminabile fu chiamato della Guerra fredda. La Guerra dei cinquant’anni.    

LA PAROLA DISPREZZATA - Gli eroici furori della gioventù si sono scatenati da circa due secoli contro la Restaurazione. Eppure bisognerà un giorno riconoscere la dolcezza della vita dopo il 1815, quando in Francia si tentò di costruire un sistema politico all’inglese, un moderatismo sofferto ma virtuoso, dopo gli eccitati giorni giacobini, quando la violenza del patibolo marcava la quotidianità politica, o dopo i giorni napoleonici che sconvolgevano le frontiere europee, con le trasferte belliche in mezzo mondo e scie di sangue come fiumi. Assolutismo della ghigliottina e assolutismo dell’imperatore: esteticamente impareggiabili diranno i patiti romantici del dramma, epoche rimpiante dagli Stendhal che si trovano disorientati da una stagione meno sanguigna. Si sa, i giudizi storici si fanno distrarre da quelli estetici e in genere si preferisce il sangue e i terremoti alla quiete lunga e grigia. Ma la Restaurazione non fu affatto grigia. Prese le tinte solenni delle vecchie monarchie, della tradizione, e quelle pastello della leggerezza dopo tanti lutti. Si obietterà che la bassezza morale dei trasformisti, dei traditori della loro gioventù, gli arricchimenti sospetti, il disonore e l’ipocrisia non possono rappresentare un modello. Va stabilito che cosa ci si aspetta dalla politica. Un sistema per garantire al meglio la vita oppure travolgimenti infiniti per inseguire la giustizia umana. Oggi a chi riprende le vecchie critiche – il bel vivere di alcuni sulla vita da cani della maggioranza – si può replicare che anche solo i riflessi di quell’edonismo che sfiorano i più sfortunati scoraggiano chiunque a giocare alla roulette russa degli estremismi. Il «muoia Sansone con tutti i filistei» ha prodotto il furbo scampo dei filistei e l’ecatombe dei Sansoni grossolani.

Restaurare è un’azione di pietas, un atto di guarigione, un segnale di riappacificazione, una spada che rientra nel fodero e mette fine alle distruzioni. Restaurare significa ritrovare la vita, la soavità soffusa della vita, dello scambio umano, delle ragioni degli altri. Se il XX secolo è stato il più lungo periodo rivoluzionario della storia moderna (chissà nelle ère geologiche), il luogo della guerra totale che poteva concludersi soltanto con la distruzione totale – e la ‘distensione’ degli anni Sessanta era considerata una tregua provvisoria per sferrare l’attacco finale –, se il terrore ha dominato l’epoca in attesa dell’annientamento del nemico, soltanto una rivalutata Restaurazione servirà da metafora per evitare il ripetersi dell’alternanza nuovo/vecchio, per impedire l’abrasione del passato.

Con l’abbattimento dell’aristocrazia e dei suoi privilegi nell’’89 si tolsero i diritti al Tempo, la durata non ebbe più valore, e la memoria, privata dei suoi privilegi, fu vuoto fantasticare. Le lamentele sull’attuale «eterno presente» trascurano il fatto che tale ossimoro nasce dallo spirito della Rivoluzione francese, quando si afferma il tempo come denaro, il tempo che va subito cambiato con denaro contante, in luogo dell’invecchiamento come diritto acquisito. Impoveriti tragicamente del passato (e del futuro), non è possibile rimediare acquistando dagli antiquari vecchi idoli. Anche se gli antiquari proliferarono proprio durante la Restaurazione per alleviare chi era stato privato del bello del passato.

Le frenesie giovanili quando il tempo non passa mai impongono brusche accelerazioni, giochi violenti con un passato sempre estraneo, presa di distanza dagli anni più familiari per emanciparsi dalla puerilità. Quando però il tempo comincerà a correre davvero – e invano si cercherà il misterioso ritmo sospeso dell’infanzia –, sarà una autentica ipocrisia unirsi al coro giovanile dei rivoluzionari, il coro che spasima per interrompere la storia, e sarà stoltezza fingere di credere all’amnesia come soluzione, ai tourniqués magniloquenti per ingannare la fine sempre troppo improvvisa di ogni vita. Fuori dal giovanilismo per partito preso non è difficile coltivare un tempo lento, guaritore e consolatore, voltando le spalle a un tempo personificato nel giustiziere con la falce in mano che si sovrappone alla immagine della morte. Graduale, sensualmente pigro, ricco di passato che conserva come un patrimonio, ricco di futuro che come ogni possidente riesce a intravedere al suo orizzonte, e anche a goderne, nonostante vi sia ospitata la morte, ecco il tempo della Restaurazione.      

AUTOBIOGRAFICO - Forse le generazioni nate a ridosso della guerra scelsero la Rivoluzione perché di fronte a un passato troppo fradicio di sangue per essere decifrato, interpretato e trasformato preferirono rifiutarlo in blocco: meglio confidare nel Nuovo. Difficile per i primi giovani dell’èra consumista riuscire a stabilire una qualche forma di convivenza con figure imbarazzanti quali la Povertà e la Morte; più semplice respingerle nel vecchio mondo da far tramontare in fretta e definitivamente. Un tempo non tanto remoto si chiamò comunismo la magia che avrebbe allontanato dalla storia i mali antichi. Più tardi svanirono i contenuti, rimase soltanto la forma che seppelliva il passato, che trasmutava le cose. Qualcuno la confuse liricamente con un ciclico rinnovamento della vita comunitaria.

Ai giovani, nuovi avventori del banchetto opulento come mai nella storia, la società offrì uno spazio sproporzionato, e per qualche tempo si visse disorientati la demolizione del mondo di ieri: dall’arte ai mestieri, dalle abitudini al galateo.

CORRUZIONE - Peccato capitale di questi giorni (primi anni Novanta): il corrotto è colui che si lascia comprare. Ci si mette in vendita sul mercato dove fiorisce la domanda, si mette in vendita anima, corpo e segreti d’ufficio. Hanno introiettato lo spirito del mercato, facendosi merce tra le merci.

KEYNES PROFETA - Nel 1931, Lord Keynes seppelliva «i vecchi pregiudizi», faceva piazza pulita dei«principi metafisici o generali sui quali si è voluto fondare di tanto in tanto il laissez-faire». «Di tanto in tanto» però essi ritornano all’orizzonte e si prendono gioco delle teorie keynesiane. A rileggere le sue «profezie», sembra irrealizzata proprio quella a cui mostra di tenere di più. Scriveva infatti nel 1931: «Il mondo occidentale dispone già delle risorse, ove sapesse creare l’organizzazione per utilizzarle, capaci di relegare in una posizione di  secondaria importanza il ‘problema economico’ che assorbe oggi le nostre energie morali e materiali». Il fine secolo presenta lo spettacolo di un mondo incantato esclusivamente dai meccanismi economici. Idee, arte, vita intima, tutto pare dipendere dai movimenti della Borsa. Per la prima volta anche i bambini seguono come una gara sportiva lo slalom della moneta. Se i magnati della finanza seppero unire l’intuito per le speculazioni con quello per i capolavori pittorici (o quantomeno per individuare gli esperti-consiglieri da tenere alla propria tavola), gli azionisti di massa sembrano dedicarsi soltanto alla lettura dei listini e ai suggerimenti dei giornali specializzati. I manuali sostituiscono il genio (nel senso del talento). Mai il mondo si è piegato così completamente alle esigenze delle «necessità economiche». Non c’è ideologia, movimento politico, movimento culturale che si sottragga a loro. Perfino l’arte, o quello che attualmente passa per tale, gode della piena integrazione nell’universo delle merci virtuali. Keynes però precisava che le sue profezie avevano un carattere politico: «Se, infatti, persistiamo nell’operare coerentemente secondo un’ipotesi ottimistica, questa ipotesi tenderà a realizzarsi: mentre, operando secondo ipotesi pessimistiche, rischiamo di chiuderci per sempre nel pozzo del bisogno». Adesso che da tutto il pianeta si levano le lamentazioni per la compatibilità mentre regna il pessimismo, l’ora ansiosa dell’emergenza, anche le promesse dell’economista britannico vengono fatte passare per fanfaluche.

Meno profetica ma estremamente saggia una sua considerazione del 1929: «I problemi storici dei partiti del XIX secolo sono ormai morti». E da noi non sono pochi coloro che a quei partiti e a quei programmi si richiamano con protervia.

GIUSTI NASCOSTI - Escono rivelazioni, soprattutto dagli archivi segreti dell’ex Stato sovietico, di stragi compiute dalla «parte giusta» nell’ultima guerra mondiale. Milioni di vittime silenziose per mezzo secolo, prive di requiem, di libri, di film, di musei, soltanto perché colpite dai vincitori. Quanti carnefici soffrirono di questi delitti senza neppure potersi difendere. E forse tra loro qualche ‘giusto nascosto’ che restò senza onore.

NOVECENTO - Ludwig Klages, nel 1903, a proposito di alcuni versi di George, ma il riverbero ideologico è ancora più suggestivo: «Con una veemenza mai vista da almeno un millennio, l’umanità europea era alla ricerca di una perduta patria dell’anima. Negli ultimi trent’anni la mèta si è sentita più vicina che mai. La brace logorante della nostalgia ardeva fino alla febbre, fino alla pazzia, e ardeva tanto più selvaggiamente, quanto più la vita delle masse e degli Stati si estingueva in una crudezza sempre più ottusa».

RITARDI - «Quel che avviene oggi in Italia è senza riscontro […]. Qui, da noi, il disagio morale è per ovunque diffuso […]. Nei lavori pubblici lo sperpero è così folle e vergognoso che in ogni città d’Italia abbiamo veduto sorgere all’improvviso colossali fortune…». Gabriele d’Annunzio nella campagna elettorale del 1900. Mezzo secolo di ritardo italiano rispetto alle improvvise e colossali fortune parigine narrate da Balzac. Lo squisito anacronismo del Belpaese.

ESTATE ’94 - Nell’agosto di duecento anni fa a Parigi infuria il Terrore. Guerra totale ai propri concittadini in nome della logica politica che si ispira all’etica. Corpi di donne e perfino di bambini rientrano nella geometria della giustizia, dunque è lecito farli a pezzi. Ma in genere il rigore scientifico e il senso pratico della ghigliottina evitano eccessi carnali e riportano il popolo al suo ruolo rituale di coro intorno all’altare, all’ara sacrificale drizzata nelle piazze francesi. La sensiblerie dei sovversivi che finora si è declinata sulla scala della indignazione cede il posto alla fermezza, si irrigidisce sui princìpi. I Lumi che avevano rischiarato il futuro scellerato dei regimi e il pozzo nero del potere adesso abbacinanano gli occhi delle vittime in un solenne interrogatorio pubblico. Alle loro orecchie giunge il brusio della condanna popolare, e forse fanno in tempo a sentire il forte sospiro di sollievo del pubblico sotto il palco al cadere della lama pesante. Soddisfazione sempre in nome dei princìpi.

ESTATE ’95  È passato un anno dal bicentenario del Terrore. Tempo sprecato per i cinici e per i bendisposti.

Post scriptum - Nei quaderni di appunti la citazione che riportiamo in fondo a queste righe non appare, anche se avrebbe potuto esserci, faceva in tempo. L’edizione inglese della raccolta infatti uscì nel 1995 e il testo in questione porta addirittura la data del 1988, proprio alla vigilia del Grande Crollo. È di un russo, il più amabile scrittore russo del XX secolo, un esule che parve sprezzare le vendette, le rivincite, le liberazioni e le stesse vicende della storia che pure lo avevano perseguitato fin da giovinetto e con spietatezza. Diceva ai suoi studenti in una università americana: «Cercate di non dare troppa importanza ai politici non tanto perché siano ottusi e disonesti […] ma a causa delle proporzioni del loro lavoro eccessivo anche per i migliori tra loro […]. Tutto ciò che possono fare, uomini o partiti, è, al massimo, diminuire i mali della società, non sradicarli». Il sottotono stupendo di Josif Brodskij corregge, attutisce, stempera le pagine precedenti che danno ancora un peso eccessivo a certe insulse azioni collettive degli umani. Ma la citazione che si vuole apporre è un’altra, ricavata da un discorso tenuto ai ragazzi dell’Università del Michigan. Dopo aver passato in rassegna in queste cinque puntate tanti cattivi maestri, tante teorie scarsamente logiche, forse lasciandoci turbare ancora a quei tempi dal cimiteriale archivio delle faziosità ideologiche, facciamo concludere al buonsenso di un poeta che dice intorno al ribellismo cose in totale controtendenza con il vocio rimbombante dei demagoghi (e non per moralismo bensì per spirito cavalleresco, per arte di tiratori scelti): «Ora, e nel tempo a venire, cercate di rispettare i vostri genitori. Se questo vi ricorda troppo fastidiosamente l’‘onora il padre e la madre’, pazienza. Quello che sto tentando di dire è di non ribellarvi ai genitori perché, con ogni probabilità, moriranno prima di voi e quindi potreste risparmiarvi almeno un senso di colpa, se non la causa del vostro dolore. Se dovete ribellarvi, ribellatevi a coloro che non è così facile ferire. I genitori sono un bersaglio troppo vicino (come pure, incidentalmente, le sorelle, i fratelli, le mogli o i mariti); la sfera d’azione è tale che non si può sbagliare…» (in Profilo di Clio, Adelphi).      
(5. - fine)