~ E ANCHE GEOGRAFICI. ~ CON UNA
DIGRESSIONE
SULLA LETTERATURA ~
~ «Il ‘900», III PUNTATA ~
Diari lontani (1989-1995) per cercare il bandolo del secolo scorso. Le puntate precedenti qui e qui.
Nel 1929, in Germania, sulla
rivista rivoluzionario-conservatrice «Die Tat»: «Se non saranno in grado di
trovare un nuovo sistema statale ed economico che risponda ai caratteri del
popolo tedesco, nel giro di venti o trenta anni verranno travolti da un ciclone
di dimensioni inimmaginabili». Trent’anni dopo, veramente inimmaginabile, c’era
il «miracolo economico» dei Cinquanta, l’ossimoro che univa la «scienza triste»
al carattere del prodigio. Ma più che teutonico, aveva le forme americane, le
forme imposte con glamour dai vincitori. La guerra rivoluzionaria-conservatrice
era persa e così la successiva dittatura niente affatto conservatrice. I
progetti e i sogni travolti da una bufera. Oggi invece torniamo spesso agli
anni Cinquanta (trent’anni fa) come se ne fossimo separati soltanto da una
parentesi di distrazione. Anche nelle vite delle generazioni del dopoguerra, e
ormai avviate alla maturità, si avverte un tempo elastico, restringibile a
piacere, perché in questo più recente trentennio manca il macigno che lo biforca
nei più vecchi: il prima e dopo la mattanza.
VERTIGINI
- L’eclettismo del postmoderno è un riassuntino finale del millennio. Non a
caso già dal XIX secolo si è scatenata una danza di revival a chiudere la gara
di originalità che contrassegnò le altre epoche. Nell’ultima manciata del XX il
tempo accelera, il giro si fa più vertiginoso: ormai nessuno ha il coraggio di
scommettere su un’epoca nuova. Ci si aggrappa perciò al meglio del già noto e
si teme la vendetta delle cose scartate.
PREVISIONI
- Cimentarsi in previsioni politiche comporta una certa fede nel fatto che i
tempi porteranno alla luce la verità. Ma una fede che rinuncia alla pazienza e che
per ansia anticipa i tempi è un’ombra che si posa sulle cose e le rende morte
come quelle maneggiate dagli archeologi.
L’ARROGANZA
DEL NAÏF - Gli uomini delle valli nordiche che son calati a Roma con una specie
di partito dicono ora che sono stati ingannati dai loro furbi soci nel governo.
Mai un partito al potere aveva governato l’Italia senza sapere quel che faceva,
con i ministri che si lasciano spiegare il giorno dopo dai giornali il
significato dei loro atti di governo. Ecco la controprova di quanto la politica
sia in una fase di decadenza, già oltre il ridicolo.
HASKALAH
- L’illuminismo ebraico, l’haskalah,
si spinge fino a saldarsi al sionismo. Risaliva nei secoli, ben prima del
Settecento; né si può negare la patente del più nobile illuminismo alle parole
bibliche di critica dei sacrifici umani, dell’idolatria, della superstizione.
Ma dovette essere così nascosto che l’ebraismo fu condannato, nella stagione
dei Lumi, come la quintessenza dell’oscurantismo.
MODERNITÀ
- Il papa si lamenta per la desacralizzazione della sua Polonia: là dove non
riuscì in decenni all’ateismo di Stato venne facilissimo a cinque anni di
libero mercato.
Il marxismo si è realizzato soltanto in Oriente. Dall’altra
parte l’individualismo gli faceva freno, e non si ebbe neanche un esperimento
concreto in tal senso.
Il cattolicesimo, che procede con
senso gerarchico per cui due uomini sanno più di uno, è stato attaccato a un
certo punto dall’individualismo sfrenato del luteranesimo e dei suoi derivati.
SCATOLE
LUMINOSE - «Les lumières conservées pour l’imprimerie» (Diderot). La ‘scatola
delle immagini’ è solo una versione moderna della «imprimerie»? È mai
possibile che le immagini e, corrispettivamente, le visioni conservino i lumi
dei Philosophes? Non è forse la visione senza parole a distruggere i concetti
sorti a fatica, come isole, nell’oceano delle immagini? La estrema evidenza
dell’immagine, piuttosto che completare il processo illuministico, non appare
accecante? La luce eccessiva annulla il tempo, i suoi chiaroscuri. A occhi
chiusi il tempo non passa.
COSTI -
La corruzione è il prezzo della democrazia, sistema basato sul potere della
gente comune, non incorruttibile, non eroica. La tremenda forza del potere
viene mitigata dalla forza della mediocrità. Ma se la democrazia fa a meno
degli uomini della provvidenza, è provvidenziale che talvolta vi siano delle
circostanze in cui un robusto gruppo di politici rappresenti gli interessi
generali. Coloro però che esaltano troppo la «missione» politica mancano della
saggezza che mette sotto le luci la meschinità della umana natura.
Non
solo tra la gente di lettere, anche tra borghesi che si volevano ‘illuminati’,
prosperò il gusto per i paradossi, in dispetto del buonsenso, gusto che li
condusse all’esercizio delle ragioni del socialismo sovietico. Trovare del
buono nel nemico delle libertà occidentali e scovare le mostruosità nascoste
nel nostro mondo è un’ottima ginnastica
mentale. Solo che, di capriola in capriola, il sofista rischia di cadere in
ginocchio davanti al tiranno.
L’ANNO
DELLE ASTRAZIONI - I ragazzi tedeschi dell’Ovest solidarizzarono con gli ex
sudditi dell’Impero ottomano finiti umiliati ad arrangiarsi per le città della
Germania, combatterono per gli iraniani laicizzati dallo scià, si esaltarono
per il maggio parigino insubordinato come un giorno matto di primavera, per le
battaglie di Ho Chi Minh nelle foreste avvelenate dagli americani, per i guerriglieri
di ogni dove, ma non si mobilitarono per la liberazione domestica, per coloro
con cui condividevano a Berlino la rete metropolitana, alcune strade sia pur
divise dal filo spinato, lo stesso cielo, la stessa lingua e non pochi vincoli
di sangue. Non provarono neppure ad aprire i cancelli del carcere dove erano rinchiusi
i parenti. Un’ombra lunga su quella ribellione.
EGOISMI
- Una crociata impolitica agita come emblema, assai ingenuo, delle mani pure,
mondate da ogni traccia di corruzione. Pulire: verbo che può indicare una mania.
Un tempo per convincere i rampolli borghesi a occuparsi del malanni del mondo
si chiedeva loro di «sporcarsi le mani», di farsi carico degli altri, di
occuparsi appunto di politica.
GLI EX
NEMICI - Nel 1951 si era quasi arrivati alla costituzione di un esercito
europeo. Predisposti accordi, norme e scenari per unificare le armate
nazionali. Pochissimo tempo prima ci si era attaccati l’un l’altro in una
guerra mondiale, ma soprattutto europea, con corpo a corpo assai efferati. In
decenni recenti, cadute le ultime diffidenze reciproche, il progetto di
unificazione militare non è più all’ordine del giorno. Risulta soltanto un
esempio della mancanza di audacia nel continente in rapida decadenza, che
sopravvive solo in nome degli affari e del denaro.
OSTPOLITIK
- Churchill nel 1951: «I sovietici hanno forse più paura della nostra amicizia
che della nostra ostilità. Il contatto degli abitanti dell’Unione Sovietica con
l’Occidente significherebbe la fine di un sistema infame». L’infittirsi della
rete comunicativa, dagli schermi elettrodomestici ai satelliti, hanno costretto
gli ultimi padroni del Cremlino alle mosse suicide. Così vengono abbattuti regimi odiosi ma si rafforza il potere
tecnologico, l’unico padrone della terra.
Dopo la
vittoria dei sovietici nel 1945 solo una ristretta minoranza culturale osò
resister loro in Europa occidentale. Fu a causa del rancore provato dagli
aristocratici europei nei confronti della volgarità americana? Alla nobiltà si
univano i socialdemocratici tedeschi e i nostalgici socialisti nazionali. Una
grossa coalizione avversa alla potenza atlantica. Allergica al cosmopolitismo
che si era detto, nel periodo tra le due guerre, ebraico-americano. Meglio rossi che
occidentali.
ASCESI
- Parliamo di letterati in morte di uno di loro. Dieci ore al giorno al Café de
Flore. In occasione della sua scomparsa, lo stilita rumeno isolatosi al
Quartiere Latino non può raccogliere grandi titoli sui nostri giornali.
Misteriosa la forza che obbliga a scrivere un nichilista, a fare leggere le sue
carte agli estranei, a portare il manoscritto da un editore, a leggere forse le
recensioni. Debolezze umane piuttosto che una forza? Tutta la sua importanza
deriva da questa presunta debolezza. Somiglianze con Pascal sottolineate da
molti: ma il seicentesco era un cristiano ardente, e per amore di Gesù si può
comunicare con il mondo; l’ateo luciferino che parla a fare? Morale dubbia degli scrittori negativi: abitare il luogo
salottiero delle Lettere, ma negli angoli scuri, per mettersi l’animo in pace.
Se l’asceta invece di negarsi, sottoponendosi alle regole del suo monachesimo,
si ribella ed esce dalla clausura, ecco l’anarchico, l’anarchico conseguente,
radicalmente asociale (strozza-bambini come pretendeva di essere il nostro).
La morte
ha raggiunto Emile M. Cioran. Scriveva battute dell’amarezza: non aforismi, non
epigrammi, non quelle frecce logiche che i greci conficcavano nel cuore degli
oppositori politici all’agorà, non aveva
avversari da battere, se non il genere umano: troppo poco. Al massimo,
giaculatorie della disperazione.
All’inizio
del secolo i nichilisti fecero dell’ascesi al tavolo di un bar una missione
sacerdotale. Altenberg era un mite priore di tali monaci nottambuli: «Quando a
tarda notte o, meglio, nelle prime ore del mattino si stava sul terrazzino
sopra il tetto, si udiva regolarmente uno stacchettare di ciottoli sul
selciato… probabilmente un bevitore attardato che usciva dall’ultima osteria
per andare a casa. – Ora canteranno i galli, mi disse Hofmannsthal una volta
che ci eravamo trattenuti a discorrere a lungo. – Questo è Peter Altenberg che
rincasa» (Ricordi di Hofmannsthal scritti da Carl Jakob Burkhardt),
I due
amici Beckett e Cioran, uno di fronte all’altro, uno caricatura dell’altro. Sicuramente
i personaggi dell’irlandese fanno il verso alla filosofia esistenzialista, ma
anche i ragionamenti di Cioran sembrano parodiare la desolazione dei
beckettiani, riecheggiano le smorfie dei clochard, i loro gesti sgraziati e
violenti, che assaltano, insieme all’acre puzzo umano, il lettore. Ultime
scorie del pensiero alimentato dal disgusto.
Tra i
monaci del Nihilismus risuona la preghiera lirica di Borchardt: «O cuore degli
ordini, non farmi essere libero!», subito dopo rimata da una spiegazione
oracolare: «Essere libero è niente, vorrei essere tuo» (di monito a chi fonde
pericolosamente anarchia e nichilismo, gli io piccoli proprietari e ribelli; lo
stesso Gottfried Benn dirà di se stesso: «egli vuole disciplina, giacché egli
era il più dissoluto». Spiega Roger Caillois: «Nelle opere dello spirito i
valori sono inversi: sforzo di ingegno e perseveranza è crearsi una schiavitù e
non liberarsene. Si arriva al punto che qui la libertà si ritrova
nell’inventare delle regole alle quali lo scrittore sceglie di obbedire. […] Almeno in parte, i grandi artisti sono
coloro che seppero immaginare a loro uso nuovi freni. […] Temo di sbagliare per
eccesso di leggerezza. Perciò mi appesantisco e mi impedisco di appesantirmi a
vanvera»).
Gara di
eccessi di crudeltà alla scuola di de Maistre di cui Cioran fu traduttore
(nessuno lo ricordava nei coccodrilli), eccessi mentali prima che verbali, come
épater gli umanisti (è pur sempre un buon esercizio), speculazione sulla
psicologia dei popoli, «passatempo di emigrati», parola di rumeno autoesiliato.
Ci
volevano i tiranni, il sangue, le apocalissi storiche per animare le stanche
serate parigine dei contemplatori da caffè, per gli ubriachi senza alcol, per i
duelli metafisici degli insonni, per i monaci senza mattutino, senza libri
d’ore… Da bravi letterati si allenarono a queste battaglie interiori,
immaginando crimini ordinari, delitti positivisti, con piccole cause precise, e
scrissero libri gialli. Alcuni, una minoranza, sulle tracce di Poe e
Baudelaire, fantasticarono crimini più generali, fecero sanguinare la Storia come le fontane
iraniane nel giorno di Alì, cibo dei «furiosi che vivono per metafore».
Disciplina
(tonache, cocolle e camici bianchi della Clinica Loto diretta da un sifilopatologo)
ed effervescenza novecentesca. I monaci europei e i guerrieri orientali di
Mishima. Alle porte della Morgue, assassini e vittime in meditazione muta, ad
attendere le Rivelazioni liriche, la
Grazia indicibile se non in qualche verso, Benn e Celan, se
l’accostamento non ripugna troppo.
Potere
e denaro stanno così distanti che appaiono divinità impassibili, il cinico pare
disprezzarle senza comprenderle, senza afferrarne il fascino numinoso, senza
dominarle. Resta quindi un culto oscuro: denaro e potere, segni enigmatici del
fato che l’anarchico deride come un jolly di corte.
La
grande tecnica dei cinici: prendere le distanze dagli avvenimenti
contemporanei, allontanarvisi come se fossero passati numerosi secoli, in modo
da assumere quel lucido atteggiamento (almeno in apparenza) degli storici,
soprattutto di quelli eruditi che si dilettano nel contemplare le umane
sventure, gli imperi inghiottiti, le ascese delle città, i trionfi dei sovrani,
le malizie dei corsi e ricorsi, le ingenuità degli idealisti, la forza muscolare
delle genti… Chi si schiera pro o contro Alessandro, chi teme per la sorte di
Costantinopoli, chi si sente ribollire di sdegno per la Guerra dei Cent’anni e chi
tenta di stabilire da che parte passi la ragione in quella matassa di
prerogative… Ancora un soffuso ricordo militante per gli aristocratici
illuministi scannati a Napoli ma poi per secoli più riposti ci si permette
l’impudico gioco di trovarvi solo l’aspetto estetico: i colpi di genio dei più
efferati, la stoltezza degli sconfitti, i grandi numeri della battaglia. Senza
neppure un’idea delle vittime. Ai nostri giorni le figure immorali grandeggiano
solo al passato remoto – e da quella distanza eccitano i moralisti anarchici,
Nietzsche in testa.
Si darà
il caso che gli inattuali, usciti volontariamente dal tempo storico, si
elettrizzino anche per i più canaglieschi contemporanei?
Il
tempo di quattromila anni di sapere, millenni di delitti, la cappa della
vecchiaia e poi i sogni sfumati, schiacciati dalla greve macchina della Morte.
«…venite,
disserrate le labbra / chi parla non è morto»: versi di Benn che mette a punto
una disciplina per dissoluti estremi, non ammettendo i trucchi del poeta che si
finge morto. (Versi riportati in omaggio allo scomparso.)
La
glorificazione della sterilità. Ceronetti in un compìto addio, scrive che i
testi del suo amico, i suoi pensieri cupi,
gli procurarono la «voglia di urlare di gioia», euforia per la scoperta
di affinità, per la capacità di odiare brillantemente questo mondo. Ebbri dell’Abgründgluck, espressionismo dell’ultimo
secolo. L’italiano celebra Cioran come un profeta annunciante «la verità che
l’uomo è un dio falso, e il più falso degli idoli».
Dalla
scorza negativa venne fuori un po’ di compassione in un suo discorso sulla
gloria. Saggio di virtuosismo nella più alta tradizione dell’oratoria francese,
Cioran invoca a chiare lettere la pietas:
amore per i propri difetti, esercizio di adulazione del prossimo. I veri
moralisti del resto lo sanno, una volta persa ogni fiducia nel genere umano, si
può portare salvezza ai singoli individui, consolarli, lusingarli.
MESSIANESIMO
- «Gli assembramenti di persone gli sembravano una garanzia di felicità»
(Kracauer). Si riferisce agli anni Venti ma potrebbe essere l’epigrafe degli
anni Sessanta-Settanta.
L’ITALIA - «L’Italia è un paese in cui
ammirare i quadri; aspetta di andarci. Là devi visitare i musei, non puoi fare
altro. È un paese orribile, non riesci a trovare neanche un sigaro decente»,
scriveva Henry James in L’americano.
«Caro signore, ho seguito i vostri consigli: sono di ritorno da Roma dove ho
trascorso molto tempo. Ho provato il fascino di questo bel giardino
d’antiquariato in abbandono… Una città che insegna a servire per poi dominare»:
è il cinese Ling-W.Y. che parla di Roma in La
tentazione dell’Occidente di André Malraux. L’occhio del viaggiatore in
Italia scopre la soffusa tonalità funebre nel paese del passato, nota quello a
cui noi siamo abituati e che perciò non notiamo più, è assillato dalle tante
colonne spezzate che formano un paesaggio di rovine che pure a noi non riesce a
immalinconire (sono le care immagini degli avi, così come le fotografie
scolorite dei nonni non rattristano). L’Italia che appare impassibile per avere
trionfato sui crolli dell’impero con il piacere delle sovrapposizioni, con la
destrezza nel sottrarre i capitelli agli dèi pagani onde glorificare il Dio
cristiano…
Per chi
scrive di questo paese ogni giorno sui giornali dovrebbe essere una lettura
obbligatoria, e s’intende a piccole dosi, quella degli infiniti tomi che
compongono «Il viaggio in Italia», genere letterario costantemente aggiornato.
Un buon effetto di straniamento. I più segreti vizi italici saltarono agli
occhi di giovinetti pii e romantici che entravano nel paradiso dei loro sogni.
La distanza geografica aiuta ad accostare la storia. È nota la cecità dei
contemporanei di fronte agli accadimenti del loro tempo. La grazia di possedere
questo sterminato archivio di sguardi estranei aiuta come minimo a
scandalizzarci di meno delle vicende scellerate che puntualmente si ripetono e
a non disperare. La nostra unicità non è un difetto, come pensano i
gazzettieri.
I
moralismi esibiti nei Novanta: un effetto di sazietà in un paese che per secoli
fu affollato di affamati?
DIRITTO
PUBBLICO - Quando ciascuno diventa dio di se stesso perde la saggezza di
stabilire patti biblici con la divinità celeste. E patti pubblici, come quelli
di Abramo, non trattative personali e magiche, come invece pretendono le
pratiche gnostiche.
ART
POUR L’ART? - Il romanzo – sia o no il genere cristiano per eccellenza, come
voleva Bachtin – diventa surrogato, impalcatura, trama di altre finzioni.
MALI -
Parafrasando Wittgenstein, possiamo dire che «quando tutti i possibili bisogni
economici sono stati esauditi, i nostri problemi vitali non sono stati nemmeno
toccati». E tuttavia non per questo si possono trascurare le ciclopiche
battaglie per alleviare i mali sociali, anche se alcuni pensavano seriamente di
sconfiggerli del tutto. Fu una pretesa ottocentesca, anche un po’
ridicola, affermare che bastasse
risolvere la questione sociale per risolvere il problema metafisico. Fu
tuttavia una intuizione importante trovare in molti idoli metafisici gli
effetti della fantasmagoria delle merci.
Sulla
falsariga della settecentesca «impostura sacerdotale», la «sinistra» ha
continuato a credere a una «impostura del potere», riducendo l’inganno
ideologico a un piccolo imbroglio di manigoldi da tre soldi.
Vengono
contrapposti in genere mito e logos, quasi che il primo fosse un blocco
marmoreo, morta presenza, che la viva voce anima come Gesù con Lazzaro. Il mito
è anch’esso parola, racconto che interpreta le immagini scolpite dagli umani.
L’ETÀ
DELL’ATEISMO - In Occidente la generazione che è cresciuta nell’ateismo di
massa, ormai raggiunta la maturità, imbattendosi nei numerosi casi che fuoriescono
dalle medie statistiche della nuova, progressiva, longevità, comincia a fare i
conti con la morte. Non basta allora l’infinita terapia psicoanalitica, non
basta l’abuso del termine depressione per ricoprire la solitudine lancinante
dell’anima, non sono bastate le traduzioni politico-sociali della Bibbia, né le
pillole che bruciano le cellule del cervello, a ben altre droghe ricorrono in
molti. Se alla miscredenza illuminista degli eletti si replicò con il romanticismo
e con un Ottocento che ricostituì templi domestici e nazionali, adesso per
scontare l’ateismo la folla senza religione si appiglia a grossi anestetici di
massa. È così che la ‘cultura’ diventa un calmante.
(3.- continua)